Inflazione, Laurence Boone (Ocse): «Rischioso l'aumento dei salari per tutti, ma alcune categorie meritano attenzione» Esclusiva

Laurence Boone, capo economista all’Ocse
Laurence Boone, capo economista all’Ocse
di Francesca Pierantozzi
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Mercoledì 2 Febbraio 2022, 15:20 - Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 19:42

Sinceramente trovo che siamo riusciti ad affrontare la situazione incredibilmente bene».

Laurence Boone, capo economista all’Ocse, non ha paura dell’ottimismo. Ammette in compenso di aver tremato all’inizio del 2020, quando nessun outlook avrebbe potuto prevedere come il mondo avrebbe reagito alla pandemia: «E invece siamo riusciti a mantenere l’occupazione, abbiamo trovato un vaccino in tempi record, abbiamo preservato i redditi delle famiglie. Non tutto è perfetto, ma ho molto ammirazione per come i governi hanno gestito la crisi. Molta ammirazione per l’Italia: siamo rimasti tutti colpiti dal modo in cui il vostro Paese sia riuscito a reagire al primo choc».

Il mondo è entrato nell’era dell’incertezza, siamo pronti per questa nuova, instabile, routine?

«Da due anni conviviamo con un’incertezza colossale. Ci siamo adattati in due modi: da una parte abbiamo allargato lo sguardo, dall’altro abbiamo esteso gli indicatori quantitativi dell’Ocse. Rispetto a prima, chi governa vuole ora informazioni molto rapide. Abbiamo ormai un nostro “policy tracker” per tracciare e condividere le migliori politiche economiche».

Ci sono “buone politiche”, tra quelle emerse durante la crisi, che hanno fatto scuola?

«Prendo due esempi. Il primo: la cassa integrazione. Nel marzo 2020, davanti a previsioni che si annunciavano molto difficili, abbiamo fatto ricorso a quello che ci aveva insegnato la crisi finanziaria e alle buone pratiche che erano emerse: Germania e Svizzera erano i soli a essere ricorsi alla cassa integrazione. Nel 2020 lo hanno fatto tutti e subito. Il secondo esempio di buona pratica indicata come modello è italiano: abbiamo molto citato il modo in cui l’Italia ha costruito il piano d’investimento, in modo speculare con le riforme da compiere».

Tra le tante novità del momento, ci sono il ritorno dell’inflazione e l’aumento dei prezzi. Come li valuta?

«Le situazioni sono radicalmente diverse in Europa, negli Stati Uniti e in Asia. In Asia l’inflazione non c’è, negli Usa è trainata da un’enorme domanda di beni di consumo, in Europa è invece essenzialmente legata all’aumento dei prezzi dell’energia, e questo per varie ragioni: le condizioni meteorologiche che hanno pesato sulle energie rinnovabili, i ritardi nella manutenzione delle infrastrutture causati dal Covid, la carenza di investimenti nel green, le tensioni geopolitiche che producono una diminuzione degli stock. Che fare in questa situazione? Investire e aumentare le riserve. I bonus energia e altre misure sono giuste per ammortizzare lo shock, ma le uniche azioni efficaci sono quelle a lungo termine».

L’inflazione in Europa colpisce naturalmente il potere d’acquisto. Cosa consiglia l’Ocse?

«Bisogna distinguere. Quello che farebbe molto male all’economia è un aumento generale dei salari che provochi un aumento dei costi e quindi di nuovo dei prezzi.

In compenso appare necessario intervenire sui salari del personale sanitario, degli insegnanti, delle professioni con orari o condizioni di lavoro difficili (penso per esempio al settore alberghiero o della ristorazione). Quando vediamo che scarseggia la manodopera in questi settori, significa che questi lavori non sono ben remunerati. Qui le imprese hanno un ruolo da svolgere e anche i governi».

Tassi d’interesse: è bene che comincino a risalire?

«Quando aumentano i tassi, significa che c’è crescita, occupazione e salari in aumento, dunque è un buon segno. Come abbiamo visto però, in Europa l’inflazione non proviene dalla domanda come negli Stati Uniti».

Emmanuel Macron, presidente di turno della Ue, dice di voler riformare i criteri del patto di stabilità. Idea non certo invisa ad altri paesi, primo fra tutti l’Italia. È arrivato il momento?

«Sì, bisogna riformare. Oggi abbiamo Paesi con debiti molto elevati, come la Francia o l’Italia, e Paesi con debiti meno alti come i Paesi del Nord: c’è un’enorme diversità che non c’era quando questi criteri sono stati decisi. Seconda cosa: a cosa serve il saldo di bilancio? Serve a sostenere l’attività economica quando rallenta, e poi si passa in surplus quando l’attività economica è forte. Questo non è però accaduto in Europa. Molti Paesi con debito meno elevato, durante la crisi finanziaria hanno investito meno, mentre al contrario abbiamo bisogno di investire di più. Questi criteri non sono efficaci né per contrastare i cicli, né per favorire gli investimenti. È necessario che i Paesi siano resi più responsabili della buona gestione delle loro finanze pubbliche, devono assumersi le loro responsabilità, evitare di farle ricadere sistematicamente su Bruxelles, scegliere il ritmo giusto che consenta loro di investire. Quando saremo usciti da questa crisi – e non ne siamo ancora usciti – dovremo ricostruire un sistema di bilancio che sia efficace per far fronte alle altre crisi».

Come se la sta cavando l’Italia?

«L’Italia non ha avuto fortuna: è stato il primo Paese colpito dal Covid, tutti gli altri hanno potuto beneficiare della sua esperienza. Ha fatto cose positive, come il sistema di colori per le regioni o l’introduzione del pass sanitario. Questo governo di coesione nazionale mostra che non si può fare economia senza politica. Guardando al futuro, la priorità è davvero realizzare gli investimenti e le riforme annunciate e intraprese. Per questo è importante avere una squadra che sia in grado di superare ostacoli normativi o regolamentari. Realizzare riforme richiede tempo e persone qualificate».

L’Italia è il Paese con più pensionati e con il più alto numero di senior inattivi, i giovani partono, il lavoro femminile stenta. Investimenti e riforme non devono avere un impatto anche su questa situazione?

«Il problema dei giovani talenti che partono all’estero non è solo italiano. Io dico che il piano di riforme italiano sarà un successo se riporterà i giovani in Italia, e credo che sia davvero possibile. Il problema dell’aspettativa di vita e della durata del lavoro è centrale, non tutti i lavori sono uguali, ci sono occupazioni che consentono di lavorare più a lungo di altri. Occorre flessibilità. Non ci sono soluzioni facili e non abbiamo ancora esempi di paesi che riescono a gestire questo problema in modo efficace e flessibile. Chissà, magari il primo sarà proprio l’Italia».

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