Nella complicata equazione che tiene insieme la crisi del gas e l’impennata dell’inflazione, c’è una variabile forse finora non pesata nella giusta maniera: il comportamento della Bce.
Per capire come la stretta monetaria di Francoforte rischi di incidere, e pesantemente, sulla crisi in atto, è utile leggere un interessante commento del capo economista di Unicredit, Erik F. Nielsen. Il ragionamento è più o meno questo: l’Europa si trova in uno shock energetico permanente che ha un effetto sull’inflazione. Questo shock comporterà una enorme tassa pari al 3% del Pil. Una tassa che sarà duratura e ridurrà lo standard di vita degli europei in una misura analoga. Prima della crisi del gas, l’Europa pagava una bolletta energetica verso l’estero di 400 miliardi di euro l’anno, 300 per il petrolio (a un prezzo medio di 55 dollari al barile) e 100 per il gas (a un prezzo medio di 20 euro a Megawattora). Se per semplicità si ipotizzasse che questi prezzi nei prossimi anni rimanessero entrambi in media attorno ai 100 euro, ai 400 miliardi di euro ne andrebbero aggiunti altri 600.
Cosa può fare il Vecchio Continente per liberarsi? L’unica via a disposizione al momento è quella di accelerare al massimo sulle rinnovabili. L’Europa, insomma, dovrebbe correre come se avesse il diavolo dietro. Ed è proprio qui che entra in gioco la politica monetaria della Bce. Per accelerare gli obiettivi di decarbonizzazione, sarebbe necessario spingere il più possibile l’acceleratore sugli investimenti pubblici e su quelli privati. Ma la Banca centrale europea sta mettendo in atto una delle più aggressive strette monetarie della storia recente. Sta, in altre parole, comprimendo fortemente l’ambiente per gli investimenti. In più, dal lato pubblico, presto sono destinate a ritornare le vecchie politiche restrittive di bilancio attraverso il ripristino del Patto di stabilità. La conclusione è che se c’è un momento per un coordinamento delle politiche degli Stati e di una risposta comune, è proprio questo. Un Recovery Due per l’energia è ancora più urgente di quello nato ai tempi della pandemia.