L'Italia dispone di una industria della difesa molto competitiva. In grado di raccogliere le nuove sfide che pone la necessità di sicurezza e di avere un ruolo importante sui mercati internazionali.
Grazie da un lato a due gruppi di eccellenza mondiale, Leonardo e Fincantieri, e a tante medie e piccole aziende che garantiscono flessibilità e adattabilità alle richieste dei committenti.
NORME RIGIDE E POCHI FONDI
«Un punto di forza per l’intero sistema Italia – sottolinea Crosetto – perché sempre più spesso le innovazioni tecnologiche rilevanti anche per il mondo civile sono di derivazione militare». Essendo anti-ciclico, il comparto ha risentito meno di altri i contraccolpi della crisi derivata dall’emergenza sanitaria. Nel 2021, l’Italia è diventata il sesto esportatore di sistemi di difesa al mondo, nonostante una normativa tra le più rigide, con il 3,1% dell’export mondiale del settore. L’industria italiana continua a scontare però la penuria di finanziamenti. Il nostro Paese ha speso per la difesa (dati 2019) l’equivalente di 21,1 miliardi di dollari contro i 44,4 della Francia, i 46,9 della Germania, i 53 del Regno Unito. Inoltre, è quello che destina tra i pari taglia europei nettamente di più al personale. Ora la volontà espressa da quasi tutto il Parlamento di portare le spese per la difesa al 2% del Pil a partire dal 2024 (riferito al Pil del 2021 si tratterebbe di 36 miliardi circa, sempre meno comunque del partner europei), e di mantenerle in seguito su questi livelli, può imprimere uno scatto rilevante alla industria nazionale. «Tenendo a mente - dice il ceo di Leonardo, Alessandro Profumo - che l’allocazione di maggiori risorse richiede un’attenta valutazione ai programmi cui assegnarle». Insomma, sarebbe il caso di non disperdere queste risorse in mille rivoli né destinarle ad acquisti all’estero, se non indispensabili. Le dimensioni dei Paesi e delle industrie europee obbligano a un percorso di cooperazione sempre più stretta, benché il forte taglio agli stanziamenti comunitari deciso da Bruxelles non sia un confortante viatico per una politica industriale comune. La cooperazione però già viaggia spedita. Numerosi sono i progetti ai quali l’Italia partecipa con altri partner continentali. È il caso del “sistema dei sistemi” Tempest (con Regno Unito e Svezia) che coinvolge prima di tutto un aereo da combattimento di sesta generazione ma anche elicotteri, satelliti, sensori, armi a energia diretta come i laser, missili ipersonici, sistemi di comando e controllo. E poi dell’European Patrol Corvette per navi in grado di svolgere missioni tattiche e strategiche. In fase avanzata è il sistema aereo a pilotaggio remoto Eurodrone, al quale partecipa Leonardo e che avrà un motore italiano, il Catalyst turboelica prodotto da Avio Aero, controllata di GE Aviation.
CRITICITÀ E OPPORTUNITÀ
A proposito di collaborazione europea, ampiamente rodato è il consorzio missilistico italo-franco-britannico Mbda, di cui Leonardo detiene il 25%, in grado di competere ad armi pari con i giganti Usa. L’anno scorso il consorzio ha superato per la prima volta 4 miliardi di ricavi e la costola italiana è destinata ad arrivare quest’anno a 1 miliardo di ricavi. Il suo modello di governance è tra i più avanzati ed efficienti nel panorama della collaborazione tra industrie europee e potrebbe costituire un esempio per i futuri progetti comuni. Ma per l’industria italiana della difesa le criticità non mancano.
Ecco le principali: 1) finanziamenti decisamente modesti; 2) un sistema Paese meno competitivo di quello dei pari taglia europei; 3) una certa esterofilia diffusa tra la classe dirigente; 4) una legge sull’export che mette in capo le decisioni al ministero degli Esteri, un passaggio burocratico che inibisce lo sviluppo; 5) lo scarso interesse di molti giovani laureati a entrare nel settore della difesa perché convinti che sia moralmente riprovevole; 6) infine, l’atteggiamento delle banche, «che arrivano a bloccare pagamenti dall’estero – denuncia Crosetto – nonostante siano autorizzati da diversi ministeri e che con arroganza decidono di chiudere i rubinetti ad attività del tutto legali». Eppure non mancherebbero le opportunità per moltiplicare il peso della nostra presenza all’estero. Basti ricordare che Leonardo e Fincantieri hanno un ruolo crescente per medie aziende come Iveco Defence Vehicles ed Elettronica. E sebbene con la Francia il rapporto resta ambiguo, l’”Accordo del Quirinale” sembra aver riaperto la strada alla cooperazione nei settori navale e spaziale. Con la Svezia la collaborazione sta allargandosi agli elicotteri. In via di rafforzamento la partnership con Israele nell’aeronautica, l’elettronica della difesa e la cibersecurity. Con il Qatar le eccellenti relazioni stanno conducendo allo sviluppo di intese nel settore navale e terrestre, con la possibilità di realizzare piattaforme anfibie SuperAv 8X8 del consorzio Iveco Defence Vehicles– Oto Melara. Notevole è l’interesse per i blindati dello stesso consorzio in Brasile. E, dopo la chiusura di alcuni contenziosi con l’India, cresce la speranza di ricche commesse di elicotteri e siluri.
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