C'è chi ricorda la coincidenza temporale con l’inverno 1994, quando il Credito Italiano guidato da Lucio Rondelli, supportato dalla Mediobanca di Enrico Cuccia, lanciò l’Opa sul Credito Romagnolo. La Cariplo, allora pilastro della finanza cattolica, ingaggiò un duro braccio di ferro culminato in una contro-Opa, risoltasi a tavolino a favore del Credito Italiano con una decisione Consob che ha fatto discutere. Al netto dei cambiamenti profondi nel frattempo intervenuti e degli effetti del Covid, il blitz del Credit Agricole con l’Opa sul CreVal di lunedì 23 novembre, secondo alcune banche d’affari potrebbe riproporre uno scenario simile a quello di 26 anni fa. Da segnalare che poco dopo quel blitz, sempre con la regia di Mediobanca, la Comit tentò di conquistare Ambroveneto guidato dal cattolico Giovanni Bazoli: il tentativo fallì, ma fu chiaro a tutti che le due finanze, quella laica e quella cattolica, che fino ad allora avevano convissuto, erano entrate in rotta di collisione marcando un periodo di alti e bassi che sarebbe durato un decennio.
Advisor in campo
Quel conflitto è ormai storia, e non ha più senso riproporlo oggi.
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Castagna in manovra
La mossa del Credit Agricole, che punta entro maggio alla fusione tra le attività bancarie italiane e il Creval, avrà come risultato un istituto con una quota di mercato del 5%. E se si considera che la soglia ideale per stare in Europa è individuata nel 20%, ben si comprende quanto sia importante questa acquisizione per la banca francese. Per di più in presenza di un risiko bancario che ha ripreso vigore (si pensi anche alla fusione annunciata in Spagna fra Caixa e Bankia) e dove un po’ tutti sono in manovra, peraltro assai meglio posizionati di Agricole Italia che pure ha fatto otto acquisizioni grazie a Maioli, divenendo il settimo polo italiano. Basti osservare che Unicredit conta su una quota di mercato pari all’11%, il Banco Bpm ha il 7,4%, Bper il 6,5% contabilizzando i 620 sportelli in arrivo da Intesa-Ubi, e Mps il 6,2%. Solo Intesa Sanpaolo, dopo l’acquisizione di Ubi, ha raggiunto la soglia del 20%, che per il momento dovrebbe escluderla da altri merger. Ciò di sicuro non vale per Banco Bpm, che ha aperto le porte a una potenziale combinazione con Bper, dopo un’iniziale freddezza: con Carlo Cimbri e Alessandro Vandelli, ci sarebbero stati colloqui avvenuti dopo l’incipit di partenza del capo di Unipol, primo socio a Modena. Per non dire di Mps, divenuta snodo cruciale perché dopo la nazionalizzazione del 2017 costata 8,8 miliardi (5,9 del Tesoro), nel 2021 andrà riprivatizzata: il Mef guarda a Unicredit ma anche dopo lo strappo con Mustier lunedì 30 novembre, il cda mette paletti per prenderla in esame. Dal risiko ormai in accelerazione non sono esclusi Carige dove Ccb, nel prossimo anno, dovrebbe esercitare l’opzione comprando (magari con un altro sconto) la quota del Fitd; e Mcc, protagonista del salvataggio della Popolare di Bari: l’ad Bernardo Mattarella dovrà infatti dare seguito al mandato del Tesoro di creare un polo nel Sud e già ora avrebbe messo nel mirino un istituto napoletano in affanno: la Banca regionale di sviluppo.
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