Dal tattile alla rete, la mutazione dell’antiquariato che scommette sulla tecnologia

Trapani, secolo XVII Capezzale in rame dorato, corallo e smalti centrata da figura di San Michele in veste di guerriero circondato da nove cherubini cm 47,2x34,2x3 Stimato 20-30.000 euro e venduto a 81.250 euro
Trapani, secolo XVII Capezzale in rame dorato, corallo e smalti centrata da figura di San Michele in veste di guerriero circondato da nove cherubini cm 47,2x34,2x3 Stimato 20-30.000 euro e venduto a 81.250 euro
di Umberto Mancini
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Mercoledì 3 Novembre 2021, 14:05 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 03:04

Riparte, dopo la bufera della pandemia, il mercato dell’arte, un settore che vale in Italia, sono stime recenti, oltre 1,5 miliardi di euro. E che ha scoperto, complice la durissima crisi legata al Covid, nuovi sentieri per reinventarsi, sviluppando quei processi di cambiamento che erano solo in nuce.

«È in atto una mutazione» dice Alessandra Di Castro, presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia, che dal suo osservatorio privilegiato, siede nei boards della Biennale di Firenze, di Tefaf e di Masterpiece London, spiega le nuove tendenze, i rischi e le opportunità di un comparto che dà lavoro ad oltre 40 mila persone, tra impieghi diretti e indotto, e che ha sofferto duramente in questi mesi di blocchi. «La pandemia è stata un acceleratore di fenomeni e i segnali della ripresa sono arrivati solo un mese fa, a settembre, con l’avvio delle prime fiere, il ritorno di collezionisti, degli amanti dell’arte, del pubblico, nei luoghi fisici».

IMMAGINAZIONE

 Per far fronte al virus che ha sbarrato musei, gallerie e negozi, i protagonisti del settore, gli antiquari, in un primo momento hanno puntato in maniera decisa sulla digitalizzazione, promuovendo le vendite sui siti e sui canali social. «Lo hanno fatto con attenzione alla qualità e alla ricerca della perfezione tecnologica, tant’è che alcuni di noi hanno addirittura installato un laboratorio fotografico, assunto videomakers e webdesigners. Cercando di tenere vivo il rapporto con la clientela, perfezionando le tecniche con le quali illustrare e descrivere, anche in maniera tridimensionale, gli oggetti d’arte. È nata una nuova dimensione del racconto, con l’antiquario che è divenuto un comunicatore digitale con l’inserimento di spiegazioni storiche approfondite, interviste, commenti. Certo – aggiunge – non è facile restituire l’emozione che solo un esame dal vivo può dare, ma abbiamo davvero esplorato tante strade per non rompere quel filo rosso». Non ci sono ancora numeri precisi, ma il mercato del web ha ampliato la platea e molte case d’asta hanno sperimentato nuove esperienze di marketing per le vendite (stabilendo anche record come nel caso del ritratto di giovane uomo con in mano una miniatura di Sandro Botticelli, venduto al prezzo di 92 milioni di dollari nel gennaio 2021 da Sotheby’s New York). Certo quello dell’arte è sempre un settore per intenditori, ma la rivoluzione digitale ne amplierà i confini. «Perché la qualità, e gli antiquari italiani sono considerati tra i migliori a livello globale, può essere esaltata proprio dai canali internet se conoscenza, cultura e professionalità sono messe al servizio del pubblico, grande o piccolo che sia». Chi non è riuscito ad adeguarsi, ed è questo uno degli aspetti più drammatici, ha invece chiuso i battenti in quanto lo slittamento del calendario delle fiere, le chiusure forzate, non hanno dato scampo a chi era già in sofferenza e non ha immaginato nuovi modelli di business.

Questo sforzo di immaginazione, a dire il vero, le gallerie avevano già iniziato in parte a farlo negli anni pre Covid. Nell’ultima edizione di Talking Galleries, tenutasi a gennaio 2020, a pochi mesi quindi dall’inizio della pandemia, al centro del dibattito della convention ci fu proprio la necessità di creare delle esperienze interattive di nuova generazione, in grado di completare quella che era la “classica” offerta culturale della mostra, generando curiosità e riuscendo ad attrarre nuovi collezionisti all’interno dello spazio fisico della galleria. Una necessità, quest’ultima, sentita da tempo da un mondo, che ha visto sempre meno persone frequentare i propri ambienti al di fuori del momento delle inaugurazioni.

ALTER EGO

 La via digitale, timidamente indicata solo un paio di anni fa in alternativa alle fiere d’arte “in presenza”, è diventata l’alter ego delle gallerie d’arte, garantendo oggi spazi nuovi e “caldi” proprio per l’impegno profuso dagli antiquari e galleristi che ne hanno curato l’organizzazione. I nuovi dati ancora non ci sono, ma prima dello stop imposto dal Covid, come emerge dal report di Art Basel & UBS, The Art Market 2020, curato da Clare McAndrew, fondatrice di Arts Economics, le fiere rappresentavano un canale di vendita sempre più importante per i galleristi. Tanto che nel 2019 il loro fatturato aveva raggiunto i 16,6 miliardi di dollari, i più alto di sempre. Secondo il report della fiera di Basilea, infatti, è attorno all’evento fieristico che si svolge buona parte del commercio delle gallerie, con il 15% delle vendite che avviene prima della fiera (2.5 milioni di dollari); il 64% durante (10.6 milioni) e il 21% dopo (3.5%). Tanto che nel 2019 la percentuale di fatturato che i galleristi realizzano con le fiere d’arte è pari al 45%. 10 anni fa si attestava sul 30%. Con la pandemia, tutto ciò si è improvvisamente fermato e delle 365 fiere d’arte previste per il 2020 solo un 37% si è svolto normalmente, mentre il 2% di esse ha optato per un evento ibrido o alternativo. Per il 61%, invece, l’unica soluzione è stata la cancellazione dell’edizione 2020.

LE RICHIESTE

«La crisi – sottolinea la presidente Di Castro – ci ha unito molto, ha compattato la categoria che ha individuato percorsi diversi, moltiplicato gli sforzi, ridisegnato il futuro». Certo adesso l’intero settore, che vede l’uscita dal tunnel, si aspetta un colpo d’ala da parte da parte delle istituzioni. «Non va perduta l’occasione di varare le semplificazioni attese da anni, sburocratizzando iter autorizzativi e procedure, sulla scia delle esperienze virtuose di altri Paesi europei». Come? «Ad esempio – spiega ancora – garantendo tempi certi nelle risposte delle autorità ministeriali, in modo da rendere competitive e in grado di programmare le nostre realtà che altrimenti potrebbero spostarsi oltre confine». Parigi è ovviamente la meta principe. «Non vogliamo che le forze più sane del settore facciano questa scelta, ma il sistema va reso competitivo, perché siamo in prima fila non solo per voler tutelare, promuovere e difendere il nostro immenso patrimonio culturale, ma anche per difendere la nostra italianità di cui è anche parte un importantissimo indotto. Nelle botteghe antiquarie – conclude la presidente – si crea valore, occupazione, si formano le nuove generazioni, si diffonde la cultura del nostro Paese che, altrimenti, andrebbe inesorabilmente perduta».

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