Quegli anglicismi non sempre giustificabili: una barriera all’inclusion?

Quegli anglicismi non sempre giustificabili: una barriera all’inclusion?
di Marco Barbieri
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Mercoledì 2 Marzo 2022, 15:58 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 09:02

Tutto è cominciato con una call for ideas. Era riservata alle startup.

La richiesta era di fornire un work project in grado di dimostrare una vera capacity building. Avrei dovuto capire subito che qualcosa non andava per il verso giusto, ma è difficile ammettere di essere “unfit”, e l’inclusion è un obiettivo ormai irrinunciabile, soprattutto in chi vuole proporre innovation e quindi costruirsi un adeguato empowerment del proprio job, per partecipare attivamente alla vita professionale e trovare un proprio posto nel business e magari qualche soldo. Money? Gli anglicismi non possono spaventare chi da anni usa e abusa di marketing e management. I social sono arrivati dopo anni di web e prima ancora di decenni di advertising, di promotion e di publicity (solo per citare due delle sei – o quattro? – P di Philip Kotler).

La sharing economy è stata solo la premessa per gli anni dell’engagement.

Nelle aziende mission e vision si accompagnano a una necessaria purpose. Altrimenti sei irrimediabilmente out. Non vale lamentarsi, visto che negli anni Settanta c’era chi si faceva bello citando la unique selling proposition di Rosser Reeves. Chi di spada ferisce… Ho divagato. Ma il download del format editabile per partecipare alla call (for ideas, ripeto, ammesso che non sia più corretto parlare di call4ideas, sempre per non confonderla con le decine di call video che hanno cominciato ad accompagnarci durante e dopo il lockdown) non mi sembrava di facile comprensione. Avrei dovuto proporre un assessment preliminare per poter formulare una proposition. In assenza di tutto ciò avrei dovuto procedere a tentoni (mi suggeriscono blindly, avrei preferito tentons). Avrei voluto almeno entrare nella short list dell’award. Tutto sarebbe stato in live streaming. Ma l’evento finale era assicurato phygital (ovviamente con green pass). Una bella opportunity. Ma se non capivo nemmeno il contenuto (content? Non tant) del programma era difficile arrivare all’execution. Chiedere chiarimenti? Non era ammesso alcun contatto che non fosse online. C’era un indirizzo mail. E anche un phone number, ma una volta composto una voce roca pronunciava un inequivocabile: wrong number. Rinunciare? Proprio ora che con lo smart working si può lavorare dappertutto, anche dalla riva del mare (sea)? Forse è stato allora che ho capito qualcosa in più sulla great resignation. E sulle maccaronee di Teofilo Folengo.

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