La birra Peroni diventa giapponese
ma la produzione resterà in Italia

Iil marchio Peroni
Iil marchio Peroni
2 Minuti di Lettura
Martedì 11 Ottobre 2016, 20:01 - Ultimo aggiornamento: 20:22
Una delle bionde italiane più famose cambia proprietà. Da oggi la birra Peroni parlerà definitivamente giapponese. Dopo quasi un anno di trattative, lo storico marchio tricolore è infatti ufficialmente passato sotto la proprietà del gruppo nipponico Asahi.

Quello di oggi è solo l'ultimo step grazie al quale il colosso belga-brasiliano AB InBev, primo produttore di birra al mondo, potrà così completare la scalata della rivale britannica SABMiller, la multinazionale che aveva comprato Peroni nel 2003, per dare vita ad una fusione da oltre 100 miliardi di dollari.

Tra le condizioni poste dall'Antitrust europeo per dare il via libera alla maxi operazione tra AB Inbev e SABMiller c'era appunto la cessione di quasi tutte le attività europee, tra cui la bionda italiana. Dal matrimonio tra il primo e il secondo produttore mondiale di birra nasce così un gigante con un fatturato doppio rispetto all'olandese Heineken, attuale numero tre.

La bionda tricolore, nata a Vigevano nel 1846, è rimasta nelle mani della famiglia fondatrice per cinque generazioni. Conta oggi quasi 700 dipendenti in Italia e ha chiuso il bilancio al 31 marzo 2016 con 360 milioni di ricavi e un utile di 21,5 milioni. Secondo quanto hanno garantito i suoi vertici, continuerà a produrre birre di qualità negli stabilimenti di Roma, Padova e Bari, rifornendosi del malto italiano dalla sua Malteria Saplo di Pomezia, proprio come avvenuto finora.

«Continueremo - ha detto a tal proposito Neil Kiely, Managing Director di Birra Peroni - a investire nella nostra filiera per fornire ai nostri consumatori prodotti di qualità, collaborando con i nostri clienti per rispondere alle sfide del mercato. Birra Peroni è parte integrante della tradizione e della cultura industriale di questo Paese. Il nostro legame con l'Italia è indissolubile. Per questo rimane vivo il nostro impegno a operare su questo mercato in maniera responsabile e sempre più sostenibile».