Dall'arrotino all'ombrellaio: sono 25
i mestieri artigianali in via di estinzione

Dall'arrotino all'ombrellaio: sono 25 i mestieri artigianali in via di estinzione
di Giusy Franzese
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Sabato 2 Febbraio 2019, 17:22 - Ultimo aggiornamento: 17:26
L'arrotino non passa più da tempo, l'ombrellaio neanche: d'altronde ormai gli ombrelli, salvo alcune versioni fashion, costano così poco che non vale la pena aggiustarli. Per non parlare del canestraio, l'omino che realizzava cestini, e il ceraio artigianale. L'elenco dei mestieri in via di estinzione messo a punto dalla Cgia di Mestre è lungo, sono 25 le attività ormai rare. Anche trovare un calzolaio, una ricamatrice, un guantaio o uno scalpellino in città è sempre più difficile. E così il casaro,  il cocciaio, il cordaio, il norcino, il materassaio, il maniscalco, il sellaio. Alcune attività sono ormai davvero così rare che non tutti le conoscono: è il caso del Castrino, ad esempio, che - spiega la Cgia - è la figura artigianale tipica del mondo mezzadrile con il compito di castrare gli animali; oppure lo scoppetaio (produttore di spazzole e scope, sempre artigianali ovviamente). Ma diventano sempre più difficili da trovare anche, secondo l'indagine, i barbieri, i fotografi, i corniciai,  i rilegatori di libri, il mugnaio (inteso come macinatore di grano e granaglie), il sarto e il seggiolaio.
Negli ultimi dieci anni si sono persi  165.500 attività arigianali (-11,3 per cento), un tributo alla crisi e ai tempi che cambiano altissimo. Solo nel 2018 hanno abbandonato il campo 16.300 unità (-1,2 per cento). La flessione è stata praticamente costante durante tutto il decennio.

«La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l’aumento della pressione fiscale e l’esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo – senza contare che l’avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste chiusure, c’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da segnalare. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, si perdono conoscenze e cultura del lavoro difficilmente recuperabili e la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. Altresì, c’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale».
A livello territoriale è il Mezzogiorno la macro area dove, nel decennio,  la caduta è stata maggiore.
Svetta la Sardegna con una  diminuzione del numero di imprese artigiane attive del 18% (-7.664). In percebtuale la Sicilia è terza (-15,1%) ma è prima per numero assoluto (-12.747). In Abruzzo hanno chiuso i battenti 6.220 (17,2%) laboratori. Hanno gettato la psugbna anche tanti artigiani in Umbria e Basilicata.

«Il 57 per cento della contrazione delle imprese artigiane registrata in questi ultimi 10 anni – fa notare il segretario della CGIA, Renato Mason – riguarda attività legate al comparto casa. Edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici, etc. stanno vivendo anni difficili e molti sono stati costretti a gettare la spugna. La crisi del settore e la caduta verticale dei consumi delle famiglie sono stati letali. Certo, molte altre professioni artigiane, soprattutto legate al mondo del design, del web, della comunicazione, si stanno imponendo. Purtroppo, le profonde trasformazioni in atto stanno cancellando molti mestieri che hanno caratterizzato la storia dell’artigianato e la vita di molti quartieri e città».
La pattuglia di imprese artigiane ancora attive fortunamente resta corposa: al 31 dicembre scorso il numero totale delle imprese artigiane attive in Italia si è attestato poco sopra 1.300.000 unità ( 37,7% nell’edilizia, 33,2% nei servizi, il 22,9% nel settore produttivo, il 6,2% nei trasporti). 

 
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