Veronica Diquattro, numero uno Dazn in Sud Europa: «La mia doppia partita per l'empowerment femminile e il cambiamento del calcio»

Veronica Diquattro, numero uno Dazn in Sud Europa: «La mia doppia partita per l'empowerment femminile e il cambiamento del calcio»
di Alvaro Moretti
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Mercoledì 21 Aprile 2021, 15:38 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:01

Un’altra rivoluzione da fare. Doppia. Veronica Diquattro inizia ad avere abitudine ai cambiamenti epocali: ha guidato lo sbarco degli italiani sul pianeta dello streaming musicale lanciando qui Spotify nel 2012; a capo della divisione del Sud Europa di Dazn ha appena conquistato la titolarità dei diritti di trasmissione del calcio italiano di serie A. Da Lady Musica e Podcast si sta trasformando in Lady Calcio. Proprio nel momento in cui il calcio, l’interesse primario del maschio italiano, vivrà una transizione epocale doppia: le partite in streaming sulla internet tv e la nascita di una Superlega europea che cambia tutti i parametri. Apre nuovi conflitti, cambia le carte in tavola. Diquattro a 37 anni le carte in tavola le ha sparigliate spesso lei.

Non le sfugge che la chiamata è epocale: quando si tocca il calcio, scendono in campo i governi.

«Noi stiamo lavorando a produrre un contenuto innovativo per la serie A. Abbiamo smentito coinvolgimenti nella vicenda Superlega. Di certo questo mondo si sta trasformando, ho vissuto un analogo momento nel passaggio della musica allo streaming. Vivo la cosa un po’ in parallelo con il mio percorso: mi è capitato spesso di dover prendere decisioni non ovvie, di battere strade poco conosciute. Ma io sapevo che potevo farcela visto il bagaglio che portavo con me.

Passai a Spotify all’inizio e venivo da Google, con una buona posizione: i miei genitori nel 2012 non capivano nemmeno bene che cosa “producessi”, mi chiedevano: ma cos’è lo streaming della musica? Ora penso che senza streaming Sanremo sarebbe stata un’altra cosa e nomi nuovi non li conosceremmo».

E ora il calcio.

«Io parto da come si sta trasformando il consumo, immaginiamo le possibilità. Proviamo a pensare alle richieste della gente e al momento giusto per fare la transizione. Per farlo serve la cultura del mondo a cui ti proponi, ma anche il coraggio di non dare per scontati i modelli esistenti».

Una modalità molto femminile: spesso ci si deve inventare la vita tutti i giorni, facendo lo slalom con gli ostacoli.

«È molto femminile soprattutto il trovarsi di fronte il “vediamo che sa fare”. A Dazn sono stati coraggiosi, hanno scelto il pacchetto completo dei tabù da scalare: donna, giovane, tecnologia e calcio. Hanno guardato le competenze. Qui gli stereotipi non sono tollerati. Nel settore sviluppo e business siamo maggioranza, ci sono più maschi tra gli operativi sul campo, ma anche giornaliste di punta: Diletta Leotta e Giulia Mizzoni».

Lei è molto attiva come supporter di campagne di empowerment femminile: tutor, angel di A4W. Lei non ha avuto angel quando è partita per il Perù a fare start up.

«Vorrei fare di più: più mentorship, più supporto, non solo per le start up. Per donne e giovani: tanto i pregiudizi sono simili. È fondamentale il Role Model, esempio e storie, anche i fallimenti superati, di chi hai accanto. La sento come responsabilità. Un dovere per l’empowerment delle donne».

Empowerment femminile e famiglia: lei non ha figli, ma nella sua agenda da manager il tema è parecchio presente.

«A Spotify ho promosso il congedo parentale dei padri e penso di fare lo stesso a Dazn. Ho letto sul vostro giornale di Draghi sulla gestione familiare come skill da curriculum. Chi trova un equilibrio tra vita privata e professionale, ha una marcia in più. Il modello è quello dove uomo e donna condividono il diritto di essere genitori».

Pari opportunità, mi pare di capire.

«Partiamo dalla parità di tavolo. Ora c’è il Recovery, un’opportunità enorme: ho aderito subito a manifestazioni come Half Of It. Se non siamo al tavolo in cui si decide, il lavoro non sarà impostato nel modo giusto. Un merito l’ha avuto la stampa: le denunce hanno fatto cambiare partiti e tavoli».

Dicevamo della sua esperienza in Perù.

«Un viaggio in Sudamerica da Buenos Aires alla Terra del Fuoco e poi su Cile, Bolivia e Perù appunto. Zaino in spalla, pullman, autostop e ostelli. Lavoravo in L’Oreal a Milano: un percorso tracciato in una multinazionale dopo l’esperienza in Bocconi. Laggiù mi sono occupata del marketing digitale di un network di ostelli, con un business plan “bocconiano”. L’ho portato come esperienza in Google. E credo di fare lo stesso ora con il calcio italiano».

Come cambierà la fruizione del bene immateriale più prezioso per gli italiani?

«Con il digitale si ha il ritorno immediato di cosa piace alla gente: gol, azioni, schemi... Nel calcio in tv si è fatto sempre tutto in modo molto istituzionale. Con il concetto di calcio “visto” non di calcio “vissuto”. Con social e app noi possiamo farlo. Penso che se andassero a vedere cosa piace davvero, il calcio lo produrrebbero già in modo diverso. Chi le guarda più certe cose? I giovani poco di sicuro. Sperimenteremo, non siamo giacca e cravatta: siamo per la contaminazione sport, musica, fotografia. Le nuove generazioni vogliono qualcosa di diverso: per loro tutto è entertainment. E i fan, sui social, interagiranno sulle piattaforme. Pensate a cosa è Twitch per i videogames. Quello che è nuovo non è detto che non sia migliore, no?».

Diletta Leotta è stata l’immagine di Dazn in questi anni.

«E ci ha aiutato tanto, era più esperta di noi: si è adattata subito al nostro modo di essere, linguaggio giovane. Ma fuori dal cliché della bella donna, qui a Dazn il business è in mano a molte donne, coltiviamo start up femminili nel settore sportivo». Ai dubbi di chi teme il passaggio del calcio sul digitale cosa risponde? «Che sentiamo la responsabilità di accompagnare l’accelerazione del digitale nel Paese. Il calcio è un’opportunità da cogliere. Ma non è il futuro: non stiamo scoprendo l’autostrada, ci siamo già sopra».

Ai dubbi di chi teme il passaggio del calcio sul digitale cosa risponde?

«Che sentiamo la responsabilità di accompagnare l’accelerazione del digitale nel Paese. Il calcio è un’opportunità da cogliere. Ma non è il futuro: non stiamo scoprendo l’autostrada, ci siamo già sopra».

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