Urla che ti passa, dilaga il fenomeno delle donne urlatrici per protestare contro ingiustizie e violenze

Urla che ti passa, dilaga il fenomeno delle donne urlatrici per protestare contro ingiustizie e violenze
di Franca Giansoldati
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Domenica 20 Novembre 2022, 19:38

Urla che ti passa. Tra le più popolari proteste femminili che in questi decenni hanno preso corpo in varie nazioni per catturare l'attenzione sul gap tra maschi e femmine, così come sul #Metoo, sulle disparità salariali, la tampon tax, le violenze o i cambiamenti climatici, quella che merita un discorso a parte per la velocità con la quale sta dilagando ultimamente riguarda i “gruppi che gridano”, le shout-sister, letteralmente sorelle urlatrici. Più che una moda o un passatempo le adesioni all'invito a lanciare tutte assieme in un parco un urlo liberatorio, come fosse un grido di battaglia o più semplicemente un modo per esorcizzare la comune percezione di debolezza e paura, è un fenomeno finito sotto la lente di ingrandimento.

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Un paio di anni fa nessuno avrebbe mai pensato che la richiesta apparsa sul profilo Facebook di una signora australiana, tale Gretchen Miller, avrebbe fatto tanta strada. Quel giorno postò una domanda aperta, lanciandola nel mare del web, come una bottiglia con dentro un messaggio: «Oltre a me c'è qualcun'altra che ha voglia di urlare?»

Le arrivarono subito centinaia di adesioni, con le motivazioni più disparate. Chi era arrabbiata per aver perso il lavoro, chi a causa del covid, chi aveva subito mobbing, chi non ce la faceva più a farsi carico di tutta la famiglia, chi era stata tradita per l'ennesima volta, chi se la prendeva con la cultura patriarcale all'origine di ogni male. E' da quell'appello che ha preso vita il gruppo delle Shout Sisters. Un mese dopo si sono incontrate centinaia di donne di sera, per la prima volta, in un parco cittadino per urlare tutte assieme le loro frustrazioni.

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L'idea dell'urlo liberatorio ha fatto proseliti altrove. Il Guardian ha dedicato a questo fenomeno un'inchiesta, individuando alle origini della rapida diffusione, la possibilità per tutte le donne di manifestare la propria rabbia repressa. L'appuntamento nei parchi cittadini avviene solitamente all'imbrunire, dove in un punto concordato si incontrano donne e ragazze. La partecipazione è trasversale e non codificata: generalmente provengono da differenti classi sociali, è possibile incontrare l'universitaria, la casalinga, la manager, la disoccupata, la pensionata.

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Anche l'età varia, non c'è una regola. Una volta che il gruppo prende corpo, dopo qualche scambio di battute parte il conto alla rovescia: “Tre, due, uno”. Urlare con tutta la forza per espellere la rabbia è l'imperativo di quel momento. «Esistono molti spazi per gli uomini dove possono urlare. Noi donne, invece, fatichiamo ad alzare la voce e quando accade siamo osservate e giudicate con disapprovazione» ha detto Miller, la fondatrice di questo movimento. Le urlatrici sono state immortalate in centinaia di parchi. Si urla in cerchio, ma anche in disparte, tenendosi i capelli, saltando oppure restando immobili. Chi lo fa sa di poter sfogare la tristezza, l'ira, l'angoscia, le delusioni accumulate senza inibizioni. 

I gruppi di urlo possono offrire «l'opportunità di esprimere la rabbia in un ambiente supportato» senza conseguenze negative. Sfruttando un'idea simile, la scozzese Julie Scott gestisce “Screech on the Beach” dall'Aja. Stavolta si tratta di un rituale mattutino che inizia al buio e termina all'alba, con un momento comune di meditazione passeggiando sulla sabbia. «Nessuno ci giudica, nessuno prova vergogna per buttare fuori la rabbia, ci dimentichiamo delle gabbie culturali. Guardiamo il mare e urliamo. Liberatorio e per certi versi divertente» ha commentato Scott. 

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