Yara, a casa di Bossetti si cercano
le prove per chiudere il cerchio

Yara, a casa di Bossetti si cercano le prove per chiudere il cerchio
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Giovedì 26 Giugno 2014, 09:38 - Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 07:04
Dal nostro inviato Claudia Guasco Bergamo - Un uomo «normale», con una vita «ripetitiva». Ma, se davvero è Massimo Giuseppe Bossetti l’assassino di Yara Gambirasio, anche freddo e spietato a tal punto da uccidere e poi sedersi a tavola: «Alle nove di sera eravamo tutti a cena», ha raccontato la moglie Marita Comi agli investigatori. Oggi andrà a trovare il marito in carcere, lo incontrerà per la prima volta dopo la sconvolgente scoperta di dividere la vita con l’uomo accusato di essere l’omicida della ragazzina di Brembate.



Lui nega tutto, mentre gli investigatori sono impegnati nella minuziosa raccolta di elementi che possano smontare qualsiasi alibi dell’indagato. C’è una famosa fotografia di Bossetti: lui seduto sul sofà di casa, come al solito molto abbronzato e con in braccio i suoi tre cagnolini. A fare da sfondo è il copridivano rosso e tra il materiale repertato sul corpo di Yara durante l’autopsia ci sono alcuni fili rossi. Provengono da quel telo? Oppure da qualche altro tessuto presente nell’abitazione del muratore? Per approfondire questa pista gli esperti del Ris hanno sequestrato dall’abitazione dei Bossetti abiti, asciugamani, canovacci da cucina, insomma tutte le stoffe di colore rosso. Tra il materiale acquisito ci sono poi due chiavette usb, un tablet, due computer e dieci telefonini. Gli investigatori sono al lavoro per stabilire a chi appartengano e se siano tutti funzionanti. Un particolare importante alla luce di quando messo a verbale dal muratore nel suo interrogatorio davanti al gip.



Domanda degli inquirenti: «Perché il suo telefonino resta spento dalle 17,45 del 26 novembre alle 7,34 del mattino successivo?». Risposta di Bossetti: «In quel periodo avevo un apparecchio che non funzionava bene ed era debole di batteria». Strano che una persona con dieci cellulari faccia affidamento su un telefono che fa le bizze, è la considerazione degli investigatori. E c’è una novità importante che emerge dall’analisi dell’utenza intestata a Bossetti: mai, prima del giorno della scomparsa di Yara, il suo apparecchio non riceve e non inoltra chiamate in quelle ore. Inoltre non ha agganciato la cella di Chignolo d’Isola, dove si trova il campo nel quale secondo l’accusa avrebbe gettato Yara. «Il presunto assassino potrebbe aver preorganizzato di lasciare il telefonino a casa. La incrocia mentre va in palestra alle 17,30 e ha tutto i tempo di andare nella sua cascina di Mapello, poi tornare a Brembate, far salire sul suo furgone Yara e portarla via», è l’ipotesi degli investigatori.



L’indizio davvero pensate a carico di Bossetti, quello che gli inquirenti non esitano a definire «la pistola fumante», è il suo codice genetico rinvenuto sul corpo della vittima. In punti in cui non può essere finito per caso. «Ci sono delle possibili spiegazioni che potrebbero giustificare la presenza del mio dna su Yara», contrattacca il manovale parlando con i suoi avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni. L’uomo potrebbe sostenere che qualcuno si sia impadronito di oggetti che appartenevano a lui, magari un arnese da cantiere poi usato dal vero assassino come arma per ferire la ginnasta. Un attrezzo che potrebbe essere stato sottratto a Bossetti o utilizzato a sua insaputa. Due anni fa il muratore di Mapello si è presentato ai carabinieri per sporgere una denuncia di furto: secondo il rapporto dei militari segnalò la sparizione di alcuni attrezzi, tra cui una livella elettronica, dal cassone del suo furgone parcheggiato sotto casa. E’ stata quella la prima e ultima volta che il muratore, incensurato, ha varcato la soglia di una caserma. La denuncia di furto risale a due anni fa ed è quindi successiva alla morte di Yara ma potrebbe creare un precedente: il muratore potrebbe sostenere che anche prima del 26 novembre 2010 qualcuno si sia impadronito dei suoi attrezzi. Gli avvocati di Bossetti hanno tempo fino a lunedì per decidere se ricorrere al Riesame per la scarcerazione: «Probabilmente lo faremo», dice Salvegni.
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