"Yara conosceva il suo assassino"
Giallo sull'incontro in chiesa

"Yara conosceva il suo assassino" Giallo sull'incontro in chiesa
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Mercoledì 18 Giugno 2014, 10:12 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 09:48
Dal nostro inviato Claudia Guasco - BERGAMO - Yara conosceva il suo assassino. Ne sono convinti gli investigatori che ora, dopo il fermo di Massimo Giuseppe Bossetti, stanno ricostruendo i possibili punti di contatto tra la vita di Yara Gambirasio e il muratore di Mapello. Due esistenze apparentemente distanti, ma in un paese abitare a sette chilometri l’uno dall’altro significa condividere un mondo: stessi negozi, conoscenti in comune, la medesima parrocchia. I Gambirasio erano assidui frequentatori, la famiglia Bossetti sempre presente alla messa della domenica. «Qui potrebbero essersi conosciuti - dicono gli inquirenti - Di certo l’assassino non ha scelto a caso la sua vittima». Ora il manovale è in isolamento nel carcere di Bergamo e oggi sarà interrogato dal gip. Ma per il procuratore generale Pier Luigi Dell’Osso non sussisterebbero margini d’errore: «La situazione ci fa dire che il caso è praticamente chiuso».



Sono tre gli indizi della Procura a carico del muratore di Mapello e il principale è il dna. Gli accertamenti del Ris hanno isolato «un profilo genetico maschile (convenzionalmente indicato come Ignoto 1) sugli slip e sui leggins indossati dalla vittima», il quale «costituiva senza ombra di dubbio un elemento di fortissimo interesse investigativo, non solo perché si trattava di un dna maschile estraneo rispetto al contesto relazionale della vittima, ma anche perché isolato in un’area attigua a un margine dell’indumento che era stato reciso con un’arma da taglio affilata». Perciò, si legge nel decreto di fermo, «era del tutto logico supporre» che la traccia di dna fosse collegata all’aggressione di Yara. Altro elemento che porta a Bossetti sarebbero le «polveri riconducibili a calce» trovate sul corpo, sui vestiti e nei bronchi della ginnasta di Brembate, «possibile espressione di contaminazione da materiali utilizzati solitamente, anche se non esclusivamente, nell’attività edilizia». Bossetti fa il muratore e due giorni fa gli è stato sequestrato un Peugeot ranch di colore chiaro che usava per lavoro. Un furgone bianco fu segnalato da diversi testimoni mentre si allontanava a tutta velocità lungo la strada a nord della palestra, ultimo luogo in cui fu vista viva Yara, e una donna di Ambivere raccontò anche di aver sentito delle grida provenire dal mezzo. Ma è anche vero che la polvere di calce era presente nel cantiere del centro commerciale di Mapello, dove i cani puntarono subito fiutando le tracce della ragazzina.



Infine ci sono le celle telefoniche. Il cellulare di Yara aggancia per l’ultima volta alle 18.49 del 27 novembre la cella di Mapello, in via Natta, dopo di che viene spento. L’analisi dei tabulati ha «cercato di individuare soggetti presenti in quell’area nelle ore di interesse, che svolgessero professionalmente attività edilizia» ed ecco che spunta l’utenza intestata a Bossetti. «Questa agganciava alle ore 17,45 la cella di via Natta a Mapello, compatibile con le celle agganciate dal cellulare di Yara quel pomeriggio. Successivamente quell’utenza non faceva più comunicazioni fino alle 7,34 del mattino successivo». Da rilevare che il muratore è già in zona un’ora prima della scomparsa della ginnasta, uscita di casa alle 17.30 per recarsi in palestra: ha consegnato all’allenatrice la musica per il saggio, ha assistito alla prova generale delle compagne e un’ora dopo se ne è andata. Da quel momento è sparita, inghiottita nella notte di Brembate. Abitudini e relazioni di Bossetti vengono passate al setaccio, come spiega il questore di Bergamo Fortunato Finolli «ci sono numerosi altri accertamenti da svolgere, per capire se abbia agito da solo o se qualcuno fosse al corrente di qualcosa e non l’abbia rivelato per complicità».



La madre Ester Arzuffi, per esempio, sospettava di lui? Di certo, «al momento non sappiamo» se a Massimo Giuseppe Bossetti fosse stato detto di essere il figlio di Giuseppe Guerinoni. In ogni caso il fermo in carcere, scrive la pm Letizia Ruggeri nel provvedimento, era necessario: «Pare assai probabile che l’indagato, qualora venga a conoscenza in stato di libertà della pendenza del presente procedimento penale (per un caso, tra l’altro, che agita le cronache fin dal suo inizio e per il quale si è sviluppato un notevole risentimento da parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’autore di tale efferato e ingiustificabile gesto), si dia alla fuga».
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