Sì alla fiducia, Berlusconi: agguato fallito
Napolitano: preoccupa contesto generale

Silvio Berlusconi alla Camera (foto Gregorio Borgia - Ap)
Silvio Berlusconi alla Camera (foto Gregorio Borgia - Ap)
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Venerdì 14 Ottobre 2011, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 20:55
ROMA- Il governo Berlusconi ha ottenuto la fiducia della Camera al termine di una seduta ad alta tensione. Si tratta del 53 voto di fiducia della legislatura. Nel pomeriggio il premier si recato al Quirinale per incontrare il presidente Napolitano, un incontro durato circa 40 minuti.



I voti a favore sono stati 316, 301 i contrari. La maggioranza richiesta era di 309 voti. I votanti in tutto sono stati 617. La maggioranza ha comunque sofferto molto: le assenze dell'ultima ora (gli scajoliani Destro e Gava e il responsabile Sardelli) e la tattica dell'opposizione, facevano temere che mancasse addirittura il numero legale. Poi, alla fine della prima chiama, l'ingresso dei radicali in Aula e il ripensamento di Michele Pisacane, dato per assente fino all'ultimo, sembrano aver fatto la differenza. Il risultato è stato accolto da un forte applauso dai deputati di maggioranza. L'asticella di Pdl e Lega era puntata a quota 319 e nella maggioranza si paventavano le assenze.



L'opposizione aveva annunciato che non si sarebbe presentata a votare fin quando la maggioranza non avesse dimostrato di avere il numero legale. Il che vuol dire che se al termine delle due chiame il governo non arrivasse a 315, il voto sarebbe nullo e il blocco dei lavori parlamentari sarebbe plateale. La tattica, concordata da Pd, Idv, Udc, Fli, Api, Mpa e Libdem, sembra a un certo punto in grado di far franare tutto. «Questa volta ci fregano», si sussurra tra i banchi della maggioranza. E il pressing sugli indecisi continua fino all'ultimo: a Montecitorio non si vede Michele Pisacane e Antonio Milo viene dato per indeciso. In forse anche Pippo Gianni. Ma Milo e Gianni rispondono alla prima chiama, portando la maggioranza (assenti Alfonso Papa, in carcere, e Pietro Franzoso, in ospedale) a 315. Un vero e proprio caso lo scatenano invece i cinque radicali. Quando, verso la fine della prima chiama, spuntano nell'emiciclo, l'opposizione si rende conto che la sua tattica è fallita. Alla seconda chiama arriva in Transatlantico anche il deputato responsabile Michele Pisacane: la maggioranza è a 316, l'opposizione si ferma a 301 (mancano Buonfiglio e Tremaglia di Fli, Mannino e Versace del Misto, Lo Monte dell'Mpa e la radicale Zamparutti).



Oggi c'è stata una «figuraccia delle opposizioni che ha sbagliato i calcoli - ha ribadito Silvio Berlusconi - Hanno messo in atto i biechi trucchi del parlamentarismo. Siamo a quota 316 perchè da 318 che eravamo, con 2 dei nostri impediti a venire, siamo a 316. Ho un appuntamento, già previsto, con il capo dello Stato dopo il Consiglio dei ministri di oggi ma su temi non attinenti. La prossima settimana arriverà il decreto per la crescita e lo sviluppo. Siamo pronti a ripartire con la finanziaria e abbiamo di fronte tagli dolorosi per i ministeri. Tagli di cui discuteremo perchè ciascuno cercherà di ridurre i suoi».



Napolitano: il ricorso al voto di fiducia «non dovrebbe comunque eccedere limiti oltre i quali si verificherebbe una inaccettabile compressione delle prerogative delle Camere», scrive il presidente della Repubblica ai capigruppo Pdl definendo tuttavia «inammissibile una contestazione dell'art.94 della Costituzione» che lo prevede. «Non ho ritenuto, confortato del resto dalla dottrina, espressasi anche nell'articolo del presidente Onida da me vivamente apprezzato, che vi fosse un obbligo giuridico di dimissione a seguito della reiezione del Rendiconto», scrive ancora Napolitano.



Napolitano: mi preoccupa il contesto generale. «Come ho avuto modo di chiarire nella dichiarazione da me rilasciata la mattina di mercoledì scorso, preoccupante istituzionalmente è il contesto più generale in cui si è inserita la mancata approvazione dell'art. 1 del Rendiconto», scrive Napolitano. Questa preoccupazione nasce a causa dell'«innegabile manifestarsi negli ultimi tempi di acute tensioni in seno al Governo e alla coalizione, con le conseguenti incertezze nell'adozione di decisioni dovute o annunciate».



«Per superare l'inconveniente determinatosi» con la bocciatura dell'art.1 del rendiconto Napolitano conviene che sia possibile «anche la ripresentazione dello stesso testo», ma era opportuno farlo «dopo il chiarimento politico» e la verifica della Corte dei Conti. «Circa l'ultima questione relativa alle modalità più corrette per superare l'inconveniente determinatosi e consentire un'attività certamente dovuta, convengo - scrive Napolitano- che non possono che essere le stesse per qualunque governo e consistere anche nella ripresentazione dello stesso testo, considerata la sua natura di atto ricognitivo e di legge formale di approvazione: ma era opportuno che ciò avvenisse dopo il chiarimento politico e previa nuova verifica da parte dell'organo di controllo dei conti dello Stato, come poi è in effetti avvenuto. D'altra parte, proprio la natura di legge formale e quindi di atto di controllo del rendiconto - fortemente sottolineata sia dal Presidente del Consiglio sia e ancor più da esponenti della maggioranza nel corso della discussione di ieri sulle comunicazioni del Governo - è alla base del valore politico che anche la dottrina richiamata riconosce al rifiuto di approvazione».



L'interpretazione che Gianfranco Fini ha dato del significato preclusivo della bocciatura dell'articolo 1 del Rendiconto generale dello Stato «è materia che rientra pienamente nei poteri del Presidente dell'Assemblea», fatto salvo il diritto di dissentire, ha scritto Napolitano. «Quanto alla interpretazione del significato sul piano procedurale di un voto contrario sull'articolo 1 del rendiconto - scrive Napolitano - e della portata della preclusione che ne deriva (peraltro condivisa dalla Giunta per il regolamento sulla base di vari precedenti, sia pure relativi ad altri disegni di legge) trattasi di materia che rientra pienamente nei poteri del Presidente di Assemblea, le cui decisioni possono naturalmente incontrare, come hanno incontrato anche nel passato recente, il dissenso dell'uno o dell'altro schieramento allorchè vertano su materie complesse e certamente opinabili. Tale opinabilità del resto - prosegue - è confermata dalla decisione del Governo di redigere il rendiconto sotto forma di articolo unico che rinvia alle risultanze contabili contenute in appositi allegati. Per quanto infine concerne la composizione della Giunta per il regolamento, il Presidente Fini ha risposto in Aula alle contestazioni formulate, anche se resta vostro diritto considerare aperta la questione».



Nella maggioranza 12 assenti. Sono Fabio Gava e Giustina Destro del Pdl e Luciano Sardelli di Popolo e territorio i deputati di maggioranza che non hanno risposto alla chiama, tra i 12 che alla fine sono risultati complessivamente assenti. Prevista la non presenza di Alfonso Papa e Pietro Franzoso, quest'ultimo ricoverato in ospedale. Non hanno votato neanche Antonio Buonfiglio, formalmente in Fli anche se nelle settimane scorse ha annunciato l'abbandono del partito; Santo Versace, che ha lasciato il Pdl; Calogero Mannino, che fa parte del gruppo Misto. Attesa anche l'assenza del recordman Antonio Gaglione, mentre nelle file dell'opposizione non c'erano Mirko Tremaglia, di Fli, in precarie condizioni fisiche; la radicale Elisabetta Zamparutti, in Ruanda; e Carmelo Lo Monte, dell'Mpa, in Argentina.



Bossi: al voto quando decido io. «Al voto quando decido io»: è il quotidiano leghista La Padania a riportare le parole pronunciate da Umberto Bossi dopo che il governo ha incassato la fiducia. Il giornale titola, sulla prima pagina di domani: «Il governo ottiene la fiducia. La Lega: ecco cosa fare ora. A sinistra ennesimo tonfo».



«Il governo morirà di fiducia e l'alternativa ora è rafforzata - ha detto il segretario del Pd Bersani -Oggi ha avuto un voto al ribasso. Il Pd continua la battaglia sia con la manifestazione del 5 novembre sia con la costruzione di un'alternativa che in questi giorni si è rafforzata».



«Il governo non c'è più: non ha una maggioranza politica, ma solo numerica ed è dovuta al fatto che i radicali hanno cercato la loro visibilità - ha affermato il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro - I Radicali dimenticano che ci sono momenti topici in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Li rispetto ma non condivido il loro comportamento».



Nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia ci sta che a salvare il governo sia stato Pisacane, è il commento ironico del leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini con riferimento al voto di Michele Pisacane, deputato di Noi Sud. «Questi - ha detto Casini - non hanno capito che Berlusconi farà sciogliere le Camere dopo Natale. Noi siamo pronti ad andare al voto. Bisogna dare atto al presidente del Consiglio: il suo obiettivo è quello di andare avanti per qualche settimana ed arrivare allo scioglimento delle Camere e al voto nei primi mesi del 2012. Il voto è più vicino. Quella sulla fiducia è una vittoria scontata ma è una vittoria di Pirro perchè nulla lascia presagire che da domani il governo riuscirà a governare. Berlusconi è l'ultimo dei mohicani, l'unico a credere che 316 voti gli risolvano i problemi».



Maroni: «Quello di oggi è un voto importante che ci dà vigore e fiducia», ha detto il ministro dell'Interno. Maroni ha scherzato con i cronisti a proposito della cabala del numero 14. Dopo quello odierno, e quello del 14 dicembre dell'anno scorso, a chi gli domanda se ora la prossima fiducia decisiva sarà quella del 14 novembre, ha replicato: «Meglio il 14 febbraio, che è San Valentino». Un cronista ricorda che secondo qualcuno un altro 14 potrebbe essere quello del mese d'aprile, ma per le elezioni: «Non ho controllato se è domenica». In effetti, cade di sabato: «Io sono sempre pronto...», è stata la risposta, prima di congedarsi per andare in Cdm per l'approvazione del decreto stabilità.



«Il governo Berlusconi è pienamente legittimato a governare perchè oggi ha ottenuto due voti in più. Tuttavia se non apre gli occhi più che governare continuerà a galleggiare», ha detto Gianfranco Fini parlando alla prima festa del Fli di Latina.



I radicali sono stati determinanti per la tenuta del numero legale creando una sorta di effetto traino per quota 315. Il primo radicale che ha votato è stato Marco Beltrandi, per 298°, quando cioè ancora non c'era il numero legale (che era di 315). Dopo di lui hanno votato altri tre radicali: Rita Bernardini, Maria Antonietta Coscioni e Maurizio Turco. Poi hanno votato 14 parlamentari della maggioranza: Ravetto, Razzi, Ripetti, Rivolta, Roccela, Romano, Romele, Ronchi, Rondini, Rossi, Rossi, Russo, Rugolo e Saglia. Dopo questo gruppo hanno votato gli altri radicali Matteo Mecacci e Elisabetta Zamparutti e i due nelle minoranze linguistiche Brugger e Zeller. Dopo questi ultimi, è stato il turno di Saltamartini e Sammarco, entrambi del centrodestra, e così si è chiusa la prima chiama con 315 sì e sette no. L'altro indeciso Michele Pisacane (Pt) ha risposto solo alla seconda chiama.



I deputati dell'opposizione hanno fatto il loro ingresso in aula al termine della prima chiama. All'ingresso dell'opposizione è partito dal centrodestra un ironico applauso, qualcuno ha gridato «buffoni». Dai banchi del Pdl è partito un applauso ironico quando il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, è passato davanti al banco della presidenza per votare contro la fiducia al governo.



Giustina Destro: di fronte all'opinione pubblica internazionale che guarda all'Italia «con orrore», è il momento «di uscire da equivoci e sotterfugi e dare la disponibilità per soluzioni concrete alle gravi crisi che attraversa il Paese - conferma la deputata Pdl - Non ho nulla da chiedere e pertanto posso permettermi la libertà di offrire. Offro al mio Paese, in qualità di deputato della Repubblica, di rappresentante del popolo italiano, la mia totale responsabilità di una decisione maturata con consapevolezza e sofferenza. Non è questione di coraggio, è questione di lealtà. Devo molto della mia esperienza politica al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma prima di tutto devo tutto al mio Paese. Prima di tutto viene la responsabilità verso i miei concittadini». Secondo Destro ciò che è necessario fare per uscire dalla crisi «è già scritto», lo suggeriscono la Bce, la Banca d'Italia, l'Università, la Chiesa, le tanti parti sociali del mondo del lavoro e dell'impresa: «Ebbene - conclude - servono un nuovo stile, molta serietà e tanta ragionevolezza. Serve soprattutto coesione nazionale».



«Sto per incontrare Berlusconi per dirgli di salire al Colle per aprire una nuova fase», ha detto questa mattina Luciano Sardelli, di Popolo e Territorio, dopo un incontro con il segretario Udc Lorenzo Cesa. Sardelli assicura che con lui c'è un numero di deputati «più che sufficienti» a non consentire a Silvio Berlusconi di avere il voto di fiducia.



«Sardelli c'è e vota», risponde invece Berlusconi, a chi gli chiede se non sia preoccupato per la decisione di Luciano Sardelli. Subito smentito dall'interessato: «Ho detto a Berlusconi che non voto la fiducia e che dovrebbe fare un passo indietro e trovare una soluzione perchè così non si va avanti». E dopo un nuovo incontro con il premier, Sardelli ha ribadito: «Non lo faccio per una questione personale ma la situazione così non può andare avanti per cui ho ribadito a Berlusconi la mia intenzione di non partecipare al voto di fiducia. Mi ha chiamato di nuovo stamattina e ha cercato di metterla sul piano personale. Appellandosi all'amicizia e all'affetto. Per me è stata dura, ma ho dovuto dirgli di no. Ormai ho deciso. Alea iacta est. Io l'ho invitato ancora una volta a dimettersi. Nel suo interesse e per quello del Paese».



Pensa che raggiungerete la maggioranza assoluta? «Non lo so, non lo so - risponde Berlusconi - Basta che vinciamo contro questa sinistra che ha inscenato questa farsa delle assenze». E a chi gli domanda se questa sera ci sarà il governo, risponde: «Penso di sì, anzi, ne sono intimamente sicuro. Sono intimamente sicuro che anche questo agguato non avrà nessun esito per loro».



Santo Versace è stato corteggiatissimo nel cortile di Montecitorio. Molti colleghi della maggioranza provano a convincerlo a votare la fiducia. Lui parla da ore con il suo conterraneo Francesco Nitto Palma. Poi interrogato dai cronisti, sorride rassicurante: «Io ho detto che questa fiducia non la voto e così faro». Subito dopo Versace viene raggiunto da altri colleghi del centrodestra, tra cui Renato Farina e Marco Reguzzoni.


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