«Gli autori - ricostruisce il tribunale - intendevano accreditare la tesi che l'incontro tra Patrizia D'Addario e Berlusconi e l'emersione della vicenda sul piano mediatico nazionale ed internazionale (le feste nelle residenze dell'ex premier, ndr) non fossero frutto di una mera serie di coincidenze o di casualità, ma costituissero il prodotto di una preordinata manovra politico-giudiziaria da parte del milieu politico, professionale e mediatico legato al partito avversario dell'allora capo del governo», i quali «attraverso l'ausilio della D'Addario, a tal fine prezzolata, avevano creato le occasioni per la realizzazione degli incontri mercenari al fine di montare un caso mediatico-giudiziario-politico contro l'ex capo di governo».
Secondo il Tribunale «non può dirsi raggiunta la prova della sussistenza del complotto» e di presunte «indagini riservate da parte dei vertici dell'ufficio inquirente di Bari, indagini - scrive il giudice nella sentenza - rivelatesi essere, in realtà, inesistenti». Nel ricostruire la vicenda il Tribunale di Milano ricorda il caso giudiziario che ha coinvolto l'allora capo della Procura di Bari, Antonio Laudati, rinviato a giudizio dal Tribunale di Lecce per abuso d'ufficio e favoreggiamento «in relazione ai medesimi fatti», per essere intervenuto in favore di Berlusconi. Questi fatti, secondo i giudici di Milano, «sarebbero sufficienti per affermare lo stravolgimento dei fatti» descritti negli articoli ritenuti diffamatori.
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