Parolisi, spunta una nuova accusa
«Quel giorno uscì di casa all'alba»

Salvatore Parolisi, indagato per l'omicidio di Melania
Salvatore Parolisi, indagato per l'omicidio di Melania
di Nino Cirillo
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Domenica 17 Luglio 2011, 10:12 - Ultimo aggiornamento: 15 Agosto, 00:16
ROMA - La mattina del 20 aprile, un mercoled, solo poche ore prima del ritrovamento del cadavere di sua moglie, Salvatore Parolisi usc di casa alle cinque, molto prima del solito. O almeno, così ha sempre raccontato Raffaele Paciolla, l’amico di Salvatore, la guardia penitenziaria che il caporal maggiore aveva chiamato per primo, due giorni prima, per annunciargli la scomparsa di Melania: «Raffae’, se l’hanno pigliata...». Lo ha sempre raccontato, Paciolla, e lo ha anche fatto mettere a verbale, senza che nessuno degli investigatori desse particolare importanza a quella sveglia così mattiniera. Certo, del racconto di Paciolla non si poteva dubitare visto che ospitava da due notti Parolisi in casa sua dopo l’arrivo dei parenti da Napoli, ma un marito che cerca la giovane moglie ormai da 36 ore può anche non riuscire a prender sonno, può anche cedere al nervosismo e uscire di casa prima ancora che si faccia giorno. Con il deposito della perizia medico legale sul corpo di Melania e con la richiesta di arresto per omicidio del marito Salvatore Parolisi, però, quel racconto di Paciolla è tornato sotto la lente d’ingrandimento delle indagini. Perché la relazione del professor Tagliabracci ha sì confermato le trenta coltellate inferte in due tempi, ma ha anche precisato che l’assassino è tornato al bosco delle Casermette in un orario sicuramente più vicino al ritrovamento del cadavere - alle tre del pomeriggio di quel mercoledì - che non al delitto, avvenuto nel primo pomeriggio di lunedì 18 aprile.



Quindi la domanda torna a bomba: perché Parolisi è uscito da casa Paciolla così presto, visto che lui, abitualmente, lasciava la palazzina di Folignano solo dopo le sei e mezza? E dove è andato, visto che non s’era ancora fatto giorno? E soprattutto - questo Paciolla forse lo ha notato - aveva con sé il telefonino? L’obbiettivo della procura di Ascoli, ora che ha accusato formalmente Parolisi dell’omicidio di sua moglie fino al punto di chiederne l’arresto, è di dimostrare che sia anche tornato a Ripe di Civitella per quella messa in scena: le altre coltellate più leggere delle prime, la siringa conficcata nel petto, perfino quelle strane incisioni che almeno all’inizio fecero pensare a una svastica. Tutto questo mentre il giudice per le indagini preliminari Carlo Calvaresi continua a studiarsi le carte. Toccherà a lui decidere se Parolisi deve davvero andare in carcere e se queste indagini debbono passare per competenza alla procura di Teramo. I meglio informati sostengono che la decisione di Calvaresi non arriverà prima di metà settimana. Conoscendolo, conoscendo lo scrupolo con cui questo gip apre ogni fascicolo, c’è da ritenere che sarà davvero così. Chi non considera la partita chiusa - e sarebbe strano il contrario - sono i due avvocati difensori di Parolisi, Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, che ieri hanno voluto rilanciare con grande enfasi il particolare del dna femminile trovato sul dito anulare della mano sinistra di Melania insieme a tutti gli altri dna che invece appartengono solo ed esclusivamente a Parolisi. Biscotti e Gentile arrivano addirittura a immaginare che Melania Rea possa essere stata uccisa da una donna, una donna che ha lasciato solo quella debole e unica a traccia. Ma l’idea è suggestiva perché rimanda alla storia dell’anello di fidanzamento di Melania trovato accanto al corpo, un anello che la povera donna può aver gettato mentre veniva aggredita, o che può esserle stato tolto quando era già morta, magari proprio da quella mano femminile. Non convince, però, il fatto che la traccia di dna sia stata recuperata, sì, ma senza trovare su quel dito anche segni di uno sfregamento. Una traccia da puro e semplice contatto, insomma, tanto che la procura immagina una semplice e casuale stretta di mano, tanto che il professor Tagliabracci gli ha dedicato solo due righe delle sue 88 pagine. Il legale della famiglia Rea, il penalista ascolano Mauro Gionni, è così convinto dell’irrilevanza di questo dna femminile da annunciare che domattina chiederà alla procura di togliere il segreto a tutta la perizia medico legale, di renderla disponibile a giornali e tv. Una dimostrazione di sicurezza, fa parte del gioco.
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