Meredith, Amanda e Raffaele
sono colpevoli: 28 anni a lei 25 a lui

Da sinistra, Raffaele Sollecito, Meredith Kercher e Amanda Knox
Da sinistra, Raffaele Sollecito, Meredith Kercher e Amanda Knox
di Italo Carmignani e Egle Priolo
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Giovedì 30 Gennaio 2014, 21:54 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 13:16

FIRENZE - Amanda e Raffaele sono colpevoli. Condannati a 28 anni lei e 25 lui.

La grande attesa per la sentenza del processo per l'omicidio di Meredith Kercher è finita alle 21.55, dopo quasi dodici ore di camera di consiglio. A Sollecito ritirato anche il passaporto.

In aula al momento della lettura non ci sono né Amanda, mai tornata in Italia dopo l'assoluzione nel primo secondo grado, né Raffaele, andato via dall'aula alle 10 e mai tornato. Dopo aver ascoltato le ultime repliche, infatti, Raffaele è uscito da palazzo di giustizia ed è andato in albergo. Da dove, però, sarebbe uscito, come confermato dalla reception dell'albergo in cui era con il padre Francesco, anche lui non più in aula. Potrebbe aver lasciato addirittura Firenze.

La giornata. La giornata, intanto, si era aperta con le dichiarazioni degli avvocati di Amanda Knox: «Non c'è altra possibilità che l'assoluzione. Amanda è innocente, siamo sereni». I legali di Sollecito, invece, avevano annunciato sorprese, ma alla fine Raffaele non ha rilasciato dichiarazioni spontanee come ventilato ieri. I giudici sono entrati in camera di consiglio pochi minuti dopo le dieci. «Ora vado via. Ma tornerò dopo», aveva detto Sollecito prima di lasciare palazzo di giustizia in taxi. Ma voci sempre più insistenti parlano della sua partenza.

«Avvocato, è un buon segno?», aveva chiesto Amanda alla notizia dei continui ritardi ai suoi avvocati, che hanno raccontato come la Knox abbia vissuto queste ore di attesa con molta tensione. Ha spento la televisione e non vuole parlare con nessuno, aspettando notizie da Firenze. «E' sotto pressione ed è molto tesa, ma fiduciosa perché innocente», aveva ribadito l'avvocato Carlo Dalla Vedova. A Seattle, intanto, ha cambiato look: niente più lunghi capelli biondi, ma un caschetto castano.

Nel frattempo dall'Inghilterra sono arrivati Stephanie e Lyle Kercher, sorella e fratello di Mez, che sono entrati nella maxi aula 32 per la lettura della sentenza qualche minuto prima delle nove, come avevano anticipato dai legali della famiglia Francesco Maresca e Serena Perna. Domani è prevista a Firenze la loro conferenza stampa per commmentare la decisione della Corte d'assise d'appello di Firenze, presieduta da Alessandro Nencini, a latere Luciana Cicerchia. «Accetteremo qualunque decisione - aveva detto Stephanie -. Non vogliamo che siano condannate le persone sbagliate. Tutto quello che vogliamo è scoprire la verità su quello che è successo quella notte».

«C'è un colpevole, è Rudy». L'avvocato Carlo Dalla Vedova, che difende l'americana insieme a Luciano Ghirga, durante l'ultima arringa aveva parlato delle «contraddizioni dell'accusa.

Questo era un processo chiuso con una confessione (di Rudy Guede, condannato a 16 anni, ndr) che non è stata neanche presa in considerazione in questo giudizio».

Dalla Vedova cita Dante e il suo girone dei traditori, parlando di come Amanda ha messo la sua disponibilità nelle mani degli investigatori ed «è stata tradita». Gli avvocati ribadiscono che l'unico colpevole è Rudy, ricostruendo la sua presenza in casa e le sue attitudine violente. «Valutate gli indizi - è l'invito di Dalla Vedova ai giudici della Corte d'assise d'appello -. Non potete scrivere una sentenza di condanna basata sulla probabilità, dicendo che probabilmente è stata Amanda. Le sentenze nel nome del popolo italiano non lo consentono». L'avvocato ha anche smontato la ricostruzione dell'accusa sull'impronta di tacco (trovata nella casa del delitto) di una scarpa numero 36, quindi attribuibile a una donna, spiegando come quella traccia sia stata confrontata con tutte le scarpe di Amanda, non trovando corrispondenze. «La sentenza di giustizia è l'assoluzione perché non c'è prova della presenza di Amanda, anzi di entrambi gli imputati, sul luogo del delitto», ha detto Ghirga, sottolineando il principio del ragionevole dubbio.

«Ce l'hanno con me». «Qualcuno forse ce l'ha con me, credevano non venissi», aveva detto Raffaele prima dell'inizio dell'udienza. Sollecito invece si è presentato ma ha deciso di non parlare. Con la sua presenza ha volto comunque dimostrare la mancanza del pericolo di fuga, visto che il procuratore generale Alessandro Crini aveva chiesto una misura cautelare (dal divieto di espatrio all'arresto) in caso di condanna: richiesti 30 anni per lei e 26 per lui.

Rischio arresto per Sollecito. Il sostituto procuratore generale Alessandro Crini infatti ha chiesto per i due ex fidanzatini una misura cautelare, nel caso in cui vengano condannati. Per Raffaele potrebbe essere un divieto di espatrio. Ma anche l'arresto. Probabilmente, con la sua presenza, Sollecito spera di convincere i giudici che lui non ha intenzione di fuggire. «Gli ho chiesto di accompagnarmi e quindi saremo in aula» ha spiegato il padre, Francesco. L'eventuale misura cautelare per Sollecito scatterebbe subito: col ritiro del passaporto, se si tratterà del divieto di espatrio, o con la richiesta di raggiungere casa entro un certo arco di tempo se fossero i domiciliari, fino all'accompagnamento in un penitenziario, se si trattasse di arresto in carcere.

Amanda resta a Seattle. Per Amanda l'esecuzione sarebbe più complessa e tira in ballo i trattati fra America e Italia. Nell'attesa, si è chiusa nella sua casa di Seattle. «E' tesa, è consapevole della delicatezza del momento» dice uno dei suoi difensori, l'avvocato Luciano Ghirga, ribadendo la richiesta di assoluzione e l'opposizione, in caso di condanna, alla misura cautelare.

«Non ci sono perché mi vogliono in carcere». Ma poco prima del verdetto è uscita un'intervista via Skype ad Amanda pubblicata dal New York Times. «Nulla potrà cancellare l'esperienza di essere stata ingiustamente imprigionata», afferma la giovane di Seattle. Amanda è stata descritta come una persona diabolica, scrive il giornale: «Ma io non sono così, sono diversa da come mi hanno dipinta», afferma. La studentessa americana spiega perchè ha deciso di non essere in aula per la sentenza, a differenza del suo ex fidanzato Raffaele Sollecito: «Mi sarei messa nelle mani di persone che hanno dimostrato chiaramente di volermi in carcere per qualcosa che non ho fatto - racconta - E io non posso farlo. Proprio non posso». «Le persone che mi accusano - conclude - sostengono che non può essere fatta giustizia per Meredith sino a che io non verrò condannata».

Oltre 400 giornalisti. Dalla prima udienza sono accreditati 400 giornalisti di tutto il mondo. In questi ultimi due giorni il numero è salito a oltre 500. Per la verità, l'attenzione è più mediatica che di pubblico in aula. Finora Firenze non si è praticamente accorta di questo processo. La città non lo sente suo. In una sola occasione c'è stato il tutto esaurito: quando, per la prima volta, si è presentato Sollecito. Ma la curiosità è durata poco.

Il processo. In primo grado, a Perugia, Amanda venne condannata a 26 anni e Raffaele a 25. In Appello vennero assolti. La Cassazione ha poi annullato quella seconda sentenza ordinando un nuovo appello, quello in corso a Firenze. «La strada per una nuova assoluzione è stretta», hanno più volte commentando i difensori. Il magistrato di Firenze ha scartato il movente del gioco erotico finito male prospettato dall'accusa a Perugia. Secondo la sua ricostruzione, la causa dell'omicidio sono vecchi attriti fra Amanda e Meredith per la pulizia della casa, che quella sera esplosero quando Amanda e Raffaele presero le difese di Rudy Guede (già condannato in via definitiva a 16 anni) che, ospite, era andato in bagno lasciandolo sporco.