Google condannata: «Internet non è la prateria
dove tutto è permesso»/ Il testo della sentenza

(foto di archivio)
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Lunedì 12 Aprile 2010, 16:23 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 22:25
MILANO (12 aprile) - Non esiste nemmeno la sconfinata prateria di Internet dove tutto permesso e niente pu essere vietato pena la scomunica mondiale del popolo del web. Esistono invece leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità».



Prosciolti per la diffamazione. Questo uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza del tribunale di Milano che ha condannato tre dirigenti di Google a sei mesi per violazione della privacy. Le motivazioni pubblicate oggi si riferiscono alla condanna a sei mesi del 24 febbraio scorso a carico di tre tra dipendenti ed ex dipendenti di Google, accusati di violazione della privacy e prosciolti invece per il reato di diffamazione.



Il video di un disabile maltrattato. Il processo riguardava la pubblicazione nel 2006, sulla piattaforma di Google, di un video nel quale veniva ritratto un ragazzo disabile mentre subiva vessazioni da parte di compagni di scuola in un istituto di Torino. La condanna, con pena sospesa, riguarda David Carl Drummond, senior vice president di Google e all'epoca dei fatti presidente del cda di Google Italia, George De Los Reyes, uscito dalla società nel frattempo e nel 2006 membro del cda di Google Italia, e Peter Andrew Fleischer, global privacy council di Google. Il 24 gennaio è stato completamente assolto Arvind Desikan, product marketing manager di Google Video per l'Europa, accusato solo di diffamazione.



Privacy e sfruttamento commerciale del video. «L'informativa sulla privacy era del tutto carente o, comunque, talmente nascosta nelle condizioni generali di contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalle legge». È quanto sostiene il giudice della quarta sezione penale del tribunale di Milano Oscar Magi nelle motivazioni della sentenza. «Google Italy trattava i contenuti nei video caricati sulla piattaforma di Google Video e ne era quindi responsabile, perlomeno ai fini della privacy», si legge ancora nella sentenza. Il reato per cui sono stati condannati i tre manager di Google per il tribunale di Milano risiede, tra l'altro, nel fatto che da parte della società c'è stato lo sfruttamento commerciale del video pubblicato sul web. «In parole semplici - spiega il giudice nella sentenza - non è la scritta sul muro che costituisce reato per il proprietario del muro ma il suo sfruttamento commerciale può esserlo, in determinati casi e determinate circostanze».



Reato commesso anche all'estero. Il reato di violazione della privacy non è stato commesso soltanto in Italia ma anche negli Usa. Lo sostiene il giudice Oscar Magi: «In particolare deve ritenersi che il reato in questione sia stato commesso sicuramente anche all'estero. Non vi è dubbio che perlomeno parte del trattamento dei dati immessi a Torino sia avvenuto fuori dall'Italia in particolare negli Usa, luogo dove hanno indubitabilmente sede i server (cioè le macchine che trattano e immagazzinano i dati) di proprietà di Google Inc».