Nuda e crocifissa, a Firenze
torna l'incubo del serial killer

Nuda e crocifissa, a Firenze torna l'incubo del serial killer
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Martedì 6 Maggio 2014, 12:09 - Ultimo aggiornamento: 7 Maggio, 18:16
​FIRENZE - Sono sei o sette i casi di prostitute seviziate sui quali sta indagando la Procura di Firenze nell'inchiesta sulla donna trovata morta, denudata e "crocifissa", ieri, alla periferia della citt. Fra i precedenti ce n' uno avvenuto nel campo delle Bartoline, alle porte di Firenze: in quel luogo il 22 ottobre 1981 venne uccisa una delle otto coppiette vittime del mostro di Firenze. Il magistrato che si occupa del caso è lo stesso che indagò sul mostro di Firenze, e Scandicci è il paese dove il mostro fece due delle sue innumerevoli vittime. Coincidenze, niente più.

Che però alimentano suggestioni macabre intorno alla morte di una giovane prostituta spogliata, seviziata e "crocifissa" a una sbarra sotto un viadotto dell’Autosole fra Scandicci e Firenze. In quel luogo almeno altre quattro donne sono state sottoposte allo stesso rituale. Tutte fortunatamente salve. Ma immaginare che da queste parti sia all’opera un nuovo maniaco seriale non è solo suggestione.



Cristina Zamfir aveva 26 anni, veniva dalla Romania. Una vita sbandata, divorata dalla droga, senza casa, senza riferimenti. Dormiva dove capitava, da connazionali o conoscenti casuali. Si prostituiva per tirar su qualche soldo. L’ultimo cliente, che domenica sera l’aveva rimorchiata chissà dove, l’ha portata in fondo alla Strada del Cimitero di Ugliano dove qualcuno, sui muri, ha lasciato questa scritta: "Qua si caricano le troie". Cristina evidentemente non ha avuto presagi di pericolo, non sapeva che lì altre donne hanno visto in faccia la morte.



La ricostruzione

Ieri mattina, verso le 10, il primo a vederla è stato un ciclista arrivato al fondo della Strada del Cimitero con l’intenzione di imboccare un sentiero che si inerpica sull’argine dell’Arno. È tornato indietro per una trentina di metri fino al cancello di una casa gialla. C’era Pasquale Checcacci sull’uscio, un ottantenne che abita lì dal ’54. Insieme sono tornati sotto il viadotto dell’autostrada, hanno chiamato la polizia e al primo colpo d’occhio gli agenti hanno capito di essere di fronte a un omicidio di quelli che levano il sonno a chi deve fare le indagini. La ragazza romena era completamente nuda, salvo un paio di scarpe da tennis ai piedi. Era come inginocchiata davanti a una sbarra bianca che segna la fine della strada, le braccia allargate, legate alla transenna da un nastro adesivo che le bloccava i polsi, il capo rovesciato all’indietro. «Pareva crocefissa» dice Checcacci, come a dire che la fine è arrivata dopo un lungo calvario. E in effetti è stato così: l’assassino dopo averla fatta spogliare e dopo averla immobilizzata l’ha seviziata con un grosso oggetto di ferro, così presume il medico legale.



La sofferenza

È morta lentamente, dopo un’agonia di qualche ora, forse a causa di lesioni interne, forse per dissanguamento. Sotto le sue ginocchia c’era una grande macchia rossa. È possibile che abbia cercato di liberarsi, lo dicono le ecchimosi intorno ai polsi. È probabile che abbia anche biascicato una richiesta di aiuto, ma nessuno poteva sentire alcunché in un posto dove le poche persone che abitano in zona si barricano in casa al tramonto e dove il rumore delle auto e dei camion che sfrecciano sull’autostrada mette la sordina a tutto il resto.



Non c’era nulla, oltre al corpo di Cristiana Zamfir. Nè i suoi vestiti, né la sua borsa. Il suo assassino (o i suoi assassini?) ha portato via tutto per poi abbandonare abiti e borsetta sul ciglio della tortuosa stradina che attraverso la campagna arriva al rione Matignano, a un chilometro dal viadotto. È la traccia più preziosa per le indagini: la speranza è che sugli «effetti personali» della giovane romena (dentro la borsa c’erano il cellulare e alcune carte) l’omicida abbia lasciato impronte digitali o tracce organiche che possano permettere di individuarne il dna.



La squadra mobile è convinta che colui che ha seviziato e lasciato morire la giovane avesse fin dall’inizio le peggiori intenzioni. Del resto, perché caricare in macchina una prostituta portandosi appresso del nastro adesivo se non nella prospettiva di usarlo per immobilizzarla e impedirne i movimenti? Certo, è possibile che con la promessa di una tariffa supplementare l’abbia convinta a spogliarsi completamente e a farsi legare alla transenna in una sorta di gioco erotico, ma ciò non farebbe che confermare l’obiettivo di violentarla in modo brutale.

Insomma, una sorta di rito studiato e premeditato. Forse dalla persona (o dalle persone?) che nei mesi e negli anni passati condusse in quello stesso luogo altre prostitute inducendole o costringendole a sottoporsi alle sue strane e orribili richieste prima di abbandonarle a sé stesse, ferite, disorientate, terrorizzate. Fino a ieri notte sotto il viadotto dell’Autosole nessuna delle vittime del maniaco era morta. L’ipotesi più spaventosa è che abbia voluto alzare il tiro per far parlare di sè, per provare il brivido della celebrità.