Agente di polizia penitenziaria suicida a 56 anni: «Umiliato dai colleghi, gli dicevano che era gay»

Agente di polizia penitenziaria suicida a 56 anni: «Umiliato dai colleghi, gli dicevano che era gay»
Agente di polizia penitenziaria suicida a 56 anni: «Umiliato dai colleghi, gli dicevano che era gay»
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Venerdì 19 Febbraio 2021, 12:56

Choc in Puglia dove un uomo di 56 anni, U.P.assistente capo coordinatore del Corpo di Polizia Penitenziaria, originario di Bitritto e da molti anni in servizio nella casa di reclusione di Turi, si è tolto la vita. L'uomo si è ucciso sparandosi con la pistola di ordinanza. E dal racconto degli amici emerge come il 56enne sarebbe stato costantemente vittima di bullismo da parte dei colleghi«In quasi 15 anni di umiliazioni subite, ha sempre rifiutato l'etichetta di omosessuale, ma era questo l'argomento principale con il quale alcuni suoi colleghi lo tormentavano», ha detto alla Gazzetta del Mezzogiorno l'avvocato Antonio La Scala, presidente e fondatore dell'associazione 'Gens Nova' della quale l'agente era membro.

Il poliziotto suicida era di Bitritto (Bari): «Sono ancora sconvolto - prosegue l'avvocato - era un uomo un po' timido, ansioso per carattere, gentile. Due giorni fa ho raccolto il suo ennesimo sfogo: non ce la faceva più. Mi ripeteva che i colleghi lo prendevano in giro, non gli credevano, dicevano che non stava bene con il cervello, che era malato immaginario, lo dileggiavano perché non si era mai sposato». L'agente viveva con i suoi genitori e assisteva il papà malato usufruendo della cosiddetta legge 104 - riferisce la Gazzetta - che gli permetteva di assentarsi dal lavoro.

Nel frattempo aveva chiesto un periodo di aspettativa. «In questo periodo mio figlio non stava lavorando - riferisce la mamma al quotidiano - e mi chiedo come abbia potuto procurarsi la pistola che viene sistematicamente lasciata in armeria, nel carcere, al termine dell'orario di lavoro».

La mamma denuncia: come aveva la pistola?

La mamma dell'agente suicida presenterà oggi in Procura, tramite l'avvocato Antonio Portincasa, una denuncia in cui chiede che «si faccia luce sulle cause che hanno portato il figlio ad uccidersi», e che si accerti la ragione per la quale «era ancora in possesso della pistola di ordinanza pur essendo in aspettativa». Lo dice all'ANSA l'avvocato Antonio La Scala spiegando che lui nella denuncia sarà «indicato come principale testimone». «Sono stato il suo unico amico vero negli ultimi vent'anni» spiega La Scala raccontando di aver raccolto le confidenze del poliziotto sulle «continue vessazioni: un vero e proprio caso di mobbing a sfondo sessuale», ritiene il legale che ha ricordato come alcuni colleghi dell'agente lo tormentassero con l'etichetta di omosessuale.

Tra i documenti custoditi nella sede dell'associazione 'Gens Novà, l'avvocato La Scala ha ritrovato cinque lettere risalenti agli anni 2005-2006, quando il poliziotto era in servizio a Verona, nelle quali l'agente «diceva di sentirsi perseguitato, di essere insultato perché aveva sempre vissuto con i genitori» e «non aveva una fidanzata». Da quando nel 2008 è stato trasferito al carcere di Turi ha smesso di scrivere ma ha continuato, fino a tre giorni prima di suicidarsi, a confidare insulti e paure a diversi amici e familiari.

Sappe: siamo sconvolti, era allegro e simpatico

A dare notizia del suicidio ieri è stato il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. «Siamo sconvolti: sembra non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo - dichiara Donato Capece, segretario generale del Sappe - L'uomo era benvoluto da tutti, allegro e simpatico. Non era sposato e assisteva i genitori, entrambi con grave handicap. Nessuno mai ha percepito un suo disagio. I carabinieri hanno trovato l'uomo all'interno della sua auto, nei pressi del cimitero di Bitritto». Capece non entra nel merito delle cause del suicidio, ma sottolinea come sia importante «evitare strumentalizzazioni ma fondamentale e necessario è comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto. Ripeto: i colleghi mi riferiscono che nessuno aveva percepito un suo eventuale disagio. Sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l'Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta. Sollecito un incontro urgente per attivare serie iniziative di contrasto al disagio dei poliziotti penitenziari».

«Questo è il secondo suicidio nelle file della Polizia Penitenziaria dall'inizio dell'anno, Lo scorso anno 2020 sono stati 6 i poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita ed erano stati 11 nel 2019 - aggiunge - il Ministero della Giustizia e il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria non possono continuare a tergiversare su questa drammatica realtà. Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un'apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell'Amministrazione Penitenziaria. Non si perda altro prezioso tempo nel non mettere in atto immediate strategie di contrasto del disagio che vivono gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria è irresponsabile. Rinnovo l'appello al Ministero della Giustizia: non si può e non si deve perdere altro tempo su questa grave, inquietante ma ancora troppo trascurata drammatica realtà». 

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