PERUGIA - «Incredibile lo abbiano rimesso a lavorare con i ragazzini». Roberto (nome di copertura) è un familiare di uno dei ragazzi perugini che oltre dieci anni fa raccontarono gli abusi nei loro confronti da parte dell’allora coach Paolo Traino. Uno che fino all’esplosione del caso era una specie di guru del basket cittadino e regionale.
Cosa ha provato nel leggere di questa inchiesta?
«Incredulità e rabbia. Perché, ripeto, è inconcepibile che una persona condannata e a cui il giudice aveva vietato di svolgere lavori che prevedevano contatti con i minori possa essere stata di nuovo messa a fianco di giovani. Ma come è possibile una cosa del genere? Resto basito».
Una ferita ancora aperta, insomma
«È inevitabile. Non si può dimenticare quanto avvenuto. Questi ragazzi sono andati avanti con le loro vite, in alcuni casi hanno continuato a giocare a basket, ma quell’uomo per loro era forse più che un allenatore. Un maestro. Uno che pretendeva molto in campo, ma poi fuori era sempre affabile con tutti. È stato un qualcosa di orribile. Ma quello che sta venendo fuori in queste ore forse lo è anche di più».
In che senso?
«Nel senso che trovo inconcepibile come si sia lasciato che potesse fare del male ad altri ragazzini. Mi chiedo: ma la società romana che lo ha assunto possibile non sapesse nulla? A parte il fatto che stiamo parlando di un personaggio conosciuto e dunque la sua storia, specie nel mondo del basket, poteva essere nota a molti.
In pratica, stando a quanto emerge dalle indagini, a Roma avrebbe utilizzato lo stesso schema di Perugia.
«Mi perdoni la brutalità, ma penso che sia stato come mettere un’arma nelle mani di un killer. È questo che mi lascia completamente esterrefatto. C’erano elementi così evidenti, se uno si fosse informato, che non sarebbero potuti rimanere sconosciuti. Sicuramente è stata compiuta almeno una grossa superficialità. Ma, ripeto e concludo, non puoi non conoscere la storia di una persona che non solo prendi a lavorare ma a cui affidi dei ragazzi».