Draghi, Macron e Scholz incontrano Zelensky a Kiev: «Vogliamo che l'Ucraina entri nell'Ue»

Sì alla candidatura, è la linea italiana. «Ma ci sono altri Paesi da convincere»

Draghi, Macron e Scholz incontrano Zelensky a Kiev: «Vogliamo che l'Ucraina entri nell'Ue»
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Giovedì 16 Giugno 2022, 06:39 - Ultimo aggiornamento: 17 Giugno, 06:36

«Make Europe, not war». Letteralmente: Fate l’Europa, non fate la guerra. A offrire la sintesi della visita in Ucraina di ieri di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Sholz è un graffito sulla facciata semi-sventrata di un palazzo nel sobborgo di Irpin, nella parte più devastata di Kiev. Un’esortazione che i tre, volto dell’Unione, hanno deciso di cogliere. «Questo è il messaggio giusto» dice il francese indicandolo e ufficializzando - a dispetto di quanto fatto finora - il suo sostegno a far subito accedere l’Ucraina allo status di Paese candidato. «Siete parte della famiglia europea» gli fa eco il cancelliere rivolgendosi al presidente Volodymyr Zelensky che li ha accolti.

In altri termini, entrambi si sono allineati alla posizione tenuta fin dall’inizio da Draghi. Premier che però, in conferenza stampa, riconduce tutto lontano dagli slogan, e si mostra realista: «Ci sono tanti altri Paesi con idee anche diverse, lo vedremo al prossimo Consiglio» spiega alludendo all’appuntamento già fissato a Bruxelles per il 23 e il 24 giugno. «A Zelensky ho detto che non possiamo promettere che questo sarà l’esito, ma che siamo in condizione di promettere che questa sarà la nostra posizione in Consiglio Ue» precisa. Sullo sfondo infatti, c’è la già nota posizione contraria dell’ungherese Viktor Orbàn. 

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In ogni caso l’annuncio è un punto di svolta e arriva appena prima che la Commissione formuli (oggi) una raccomandazione sullo status ucraino, da accelerare assieme a quello di Georgia e Moldova. «Lavoreremo per costruire l’unità» spiegano infatti all’unisono. Del resto il primo viaggio in Ucraina di Draghi e Macron (Scholz c’era già stato a febbraio) non poteva non essere legato a obiettivi fattuali. E così, oltre a mostrare «sostegno incondizionato» al Paese, i tre si dicono pronti a nuovi aiuti. Anche se Draghi, dopo un faccia a faccia, precisa che «Zelensky non ha chiesto nuove armi» per quanto «la situazione è critica».

E allora il focus si sposta anche sulla ricostruzione: «Ricostruiremo tutto, hanno distrutto gli asili, i giardini dell’infanzia» continua. E le 10 ore di viaggio in treno dalla Polonia di mercoledì notte, oltre a offrire il tempo per un lungo trilaterale, servivano anche a questo.

A respirare l’aria pesante di un conflitto che già ieri mattina, quando le sirene antiaeree hanno ritardato l’inizio della prima conferenza stampa, si è palesato ai tre leader, a cui intanto si era unito anche il presidente romeno Klaus Iohannis. E così l’odore acre delle carcasse di animali in decomposizione, i palazzi fatiscenti ma con le bandiere giallo e azzurre ancora alle finestre, hanno lasciato il segno. «La brutale distruzione di questa città è un monito: questa guerra deve finire» dice Scholz. 

 

LA REAZIONE

I temi toccati insieme a Zelensky sono tanti. Sul blocco alle esportazioni di cereali dall’Ucraina ad esempio, Draghi spiega che l’orologio corre veloce: «Ci sono due settimane per sminare i porti e il raccolto arriverà alla fine di settembre, sono scadenze che ci avvicinano inesorabilmente al dramma». Riguardo ai futuri negoziati con la Russia invece, tutti i leader hanno ribadito che «sarà l’Ucraina a scegliere la pace che vuole», e che «qualsiasi soluzione diplomatica non può prescindere dalla volontà di Kiev». Anzi, alla Cnn, fonti diplomatiche francesi vanno oltre e spiegano che vorrebbero una riconquista completa, anche della Crimea. «La libereremo grazie alle armi americane» spiega in contemporanea il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov, elogiando il miliardo di aiuti stanziati dal Congresso Usa. 

Un’ulteriore svolta appunto. O forse un punto di non ritorno. Tant’è che non si è fatta attendere la risposta di Mosca. E così, dopo l’attacco l’ex presidente Dmitrij Medvedev («A Kiev mangia rane, salsicce e spaghetti») arriva quello del ministro degli Esteri Serghei Lavrov: «I contatti con l’Europa sono scomparsi dalle nostre priorità» dice. «Difenderemo i confini stabiliti dal referendum del 2014».

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