Migranti, la nave delle Ong finita agli scafisti: i pm di Catania aprono un’inchiesta

Il peschereccio arrivato in Sicilia con 600 migranti era di proprietà di Sea Watch e di Mission Lifeline

Migranti, la nave delle Ong finita agli scafisti: i pm di Catania aprono un inchiesta
Migranti, la nave delle Ong finita agli scafisti: i pm di Catania aprono un’inchiesta
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Sabato 15 Aprile 2023, 10:35

Una nave che è tutta un mistero e che ora è sotto inchiesta della procura di Catania. È sbarcata il 12 aprile con 600 migranti a bordo. Un carico di umanità, composto perlopiù da siriani, egiziani, pachistani e da qualche palestinese. Grande gioia al momento dell’arrivo in porto a Catania, ma anche grande attenzione da parte delle forze dell’ordine. Perché quella barca “così monitorata” non era il solito gommone sgonfio o i gusci di noce fatti di fogli di alluminio che reggono a malapena il mare. Kefiah 1, battente bandiera libica, è un peschereccio di 231 tonnellate, lungo 32 metri, con un bel ponte e due radar a guidare la rotta. Quando esce dal cantiere inglese nel 1968 si chiama “Clupea” e viene adibita alle ricerche scientifiche nelle aree offshore e nel mare del Nord, fino al 2015, data in cui diventa una barca di Search and rescue. 

I PASSAGGI

Insomma, una storia molto lontana da quella dei trafficanti di esseri umani. “Clupea”, infatti, viene comprata dalla ong tedesca Sea Watch che l’ha rinominata Sea Watch 2, mandandola a svolgere servizio civile di soccorso in mare per rifugiati e migranti nel Mediterraneo. Nell’autunno del 2016, il peschereccio passa ancora di mano e va a “Mission Lifeline”, organizzazione umanitaria con sede a Dresda. A giugno del 2018, la Lifeline (con 239 migranti a bordo) è diretta in Italia, ma l’allora ministro degli Interni, Matteo Salvini, ordina la chiusura dei porti e ingaggia un braccio di ferro con l’Olanda, che scarica l’ong e se ne lava le mani. La nave viene dirottata a Malta, dove il 5 marzo del 2019 finisce sotto sequestro. Viene ritrovata qualche giorno fa con i trafficanti di esseri umani che la riempiono fino all’inverosimile e la mandano verso le coste siciliane dove, scortata dalla Guardia costiera, fa ingresso nel porto di Catania.

Ma come è finita una barca utilizzata da volontari per il soccorso umanitario nelle mani degli scafisti? Il sito Marine traffic la segnala nel porto di Bar, nel Montenegro, dopo un viaggio durato cinque giorni. La tappa successiva è Bengasi, dove carica i passeggeri e si dirige verso l’Italia.

Bengasi non è un porto qualunque, è uno degli approdi della Cirenaica, il cui leader resta il feldmaresciallo Khalifa Haftar. L’est della Libia da dove sta partendo il maggior numero di migranti provenienti dal Paese africano. In quelle zone nulla si muove senza l’autorizzazione di Haftar e, infatti, da qualche tempo la gestione del traffico di esseri umani, così come molti altri traffici, sembra essere gestita dal figlio Saddam. Haftar ha bisogno di denaro, anche per pagare “la protezione” dei mercenari russi della Wagner che agiscono con l’obiettivo di destabilizzare. Proprio quello che ora il leader della Cirenaica sta tentando di fare con l’Italia e con l’Europa, nel tentativo di alzare il prezzo della trattativa. Sul peschereccio misterioso e sul passaggio di mano, in particolare quello che riguarda le bande criminali che gestiscono i flussi irregolari, sta indagando il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha aperto un’inchiesta.

TANTI MINORI

Nel frattempo, gli sbarchi continuano senza sosta. Ieri è arrivata ad Augusta una imbarcazione piena di famiglie con bambini piccolissimi. Donne che allattavano e tanti minori, un’altra delle emergenze che il governo deve affrontare in questi mesi. Parlando dell’emergenza e in risposta alle critiche della Conferenza episcopale, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha, da un lato dichiarato che «non esiste in Italia un allarme immigrazione», dall’altro, però, ha affermato che lo stato di emergenza è un tecnicismo: «Altro non è che una formula tecnica», legata alla gestione dei migranti nei luoghi di sbarco. «Condivido quello che dice la Cei che non esiste un allarme - ha spiegato il titolare del Viminale - ma esiste uno Stato di emergenza tecnicamente inteso che ha suggerito al governo di dotarsi e di dotarci di procedure semplificate per poter essere all’altezza della sfida di questa complessità: cioè fasi di concentrazione acuta degli sbarchi su luoghi ben definiti, che sono soprattutto i luoghi di sbarco di Sicilia e Calabria. Quindi di procedere a tutti gli adempimenti conseguenti con modalità più celeri».
 

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