Matteo, lo chef che rinuncia alle stelle
per stare con il suo bambino

Matteo Metullio
Matteo Metullio
di Claudio De Min
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Lunedì 18 Febbraio 2019, 09:15 - Ultimo aggiornamento: 11:51
Ci sono i cuochi che hanno scritto alla Michelin annunciando di non voler più essere inseriti nella guida (lo fece anche Gualtiero Marchesi, fra gli altri). E poi quelli che hanno rinunciato volontariamente alle stelle. E quegli altri che hanno chiuso il loro superistorante e si sono dedicati ad una cucina più semplice sotto insegne più informali. E persino quelli che hanno smesso di lavorare dentro un ristorante e si dedicano a catering di lusso o consulenze (il grande Fulvio Pierangelini, ad esempio). E altri, pur bravissimi (penso alla bellunese Paola Budel), di cui si sono addirittura perse la tracce. Troppo stress, troppa tensione, troppe aspettative, troppe complicazioni, troppe domande (la prima: ma che vita è questa?) a cui rispondere, giorno dopo giorno. A se stessi e agli altri. Invece, Matteo Metullio, triestino, 30 anni il prossimo 3 marzo («metà passati davanti al mare, l'altra metà fra le  montagne»), ex allievo di Oscar Tibolla (Alle Codole, Agordo) e Norbert Niederkofler (St. Hubertus, San Cassiano), uno dei cuochi giovani più apprezzati, fuoriclasse dell'alta cucina dopo aver accantonato per colpa di un ginocchio il sogno di diventare un campione del pallone, ha appena lasciato il ristorante in cui lavorava da sette anni, che aveva portato alla conquista di due stelle Michelin (la seconda appena un anno e mezzo fa) e nel quale si era consacrato all'attenzione di tutte le guide gastronomiche e di tutti gli appassionati gourmet che facevano la fila (e anche un mucchio di non sempre agevoli chilometri) per salire fin lassù, perché stare lontano per tanti mesi dal figlio piccolo e dalla compagna non era più sopportabile e neppure giusto, né per lui né per loro.

FULMINE A CIEL SERENOLa notizia che la Siriola, il rinomato e bellissimo ristorante dell'Hotel Ciasa Salares, a San Cassiano in Alta Val Badia, chiuderà a causa dell'addio del suo chef, è stata un fulmine nel cielo dell'alta ristorazione. Ma la motivazione è con i tempi che corrono, tempi di corse frenetiche alla fama, di rinunce a qualunque cosa pur di salire in cima alla montagna del successo e poi restarci ancora più sorprendente: «Nella mia vita racconta Matteo da un anno, è arrivata una stella nuova, ancora più importante delle due che abbiamo conquistato con il ristorante, mio figlio Nicolò. Io sono di Trieste, mia moglie di Roma, la gestione della famiglia si è rivelata più complessa del previsto e allora ho deciso di dedicare il mio tempo a loro che in questi anni avevo trascurato per concentrarmi sulla carriera. Quando tornavo a casa, dopo il lavoro, non c'era nessuno ad aspettarmi e onestamente non è che le mie amate due stelle Michelin mi facessero questa gran compagnia». 
Ovviamente Matteo non smetterà di lavorare: «A Trieste continuerò a prestare la mia consulenza all'Harry's Piccolo, il ristorante del prestigioso Grand Hotel Duchi d'Aosta. Però a Trieste ci sono i miei genitori e potranno darci una mano. Per il 2019 andrà così, poi vedremo. Non è stata una scelta facile, anche perché il rapporto con la proprietà è sempre stato ottimo e quando abbiamo preparato la nota di addio avevamo le lacrime agli occhi. Non è che voglio diventare il padre dell'anno, ma ci sono momenti in cui senti che qualcosa dentro si sta rompendo, e sai di dover prendere una nuova strada, anche per il tuo equilibrio. Ora mia moglie è più serena e lo sono anche io».

L'ULTIMO SERVIZIOLa decisione della famiglia Wieser, proprietaria del ristorante, di chiudere a seguito dell'addio di Matteo («Non sarebbe stato possibile ritrovare quella magia, meglio fermarsi, per un po' e pensare a nuovi progetti») è un ulteriore e perfino inatteso riconoscimento: «Un po' come quando una società di calcio ritira la maglia di un campione che lascia la squadra». 
Matteo sarà alla Siriola fino al 31 marzo, giorno dell'ultimo servizio e, dunque, ci sono ancora due mesi scarsi per assaggiare una cucina di alto livello e grande personalità, lontana dalle mode, dalle scopiazzature, dalla voglia di stupire a tutti i costi con piatti magari strampalati e privi di senso. Quella di un ragazzo talentuoso, autentico e sincero, come quando, un paio di anni fa, fece discutere con il chilometro vero in contrapposizione alla moda del chilometro zero: «La qualità non deve avere confini, il km zero è un concetto che non mi appartiene, soprattutto se diventa una zavorra o un alibi. Non sono certo contrario all'uso di materie prime del territorio, ma solo se sono le migliori, in caso contrario crediamo sia giusto valorizzare anche altri territori, se i loro frutti sono migliori».
Pensiero chiarissimo e illustrato alla perfezione nello Spaghetto freddo a km 4.925, provocazione il cui nome riassume la distanza tra il ristorante e le aziende che gli forniscono le materie prime, dagli spaghetti di Gragnano ai pomodori di San Marzano, dagli scampi di Porto Santo Spirito e alla colatura di alici di Cetara.
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