ROMA - Icona di stile e impeccabile First Lady (una delle più giovani della storia), Jacqueline Bouvier Kennedy Onassis ha affascinato il mondo intero con la sua personalità.
A lei sono stati dedicati fiumi di parole, una canzone di Tori Amos, un'opera lirica («Jackie O» di Michael Daugherty), una serie tv. Ma così, come ce la mostra ora Barbara Leaming in una nuova biografia, non l'avevamo mai vista.
Fili di perle e tailleur, sì, ma anche alcol, insicurezza, sofferenza e sesso in un turbinio di feste e notti newyorkesi, nei locali più in voga di Manhattan nel tentativo di superare un lutto terribile, l'ossessione di quel fatidico 22 novembre 1963 quando, a Dallas, strinse la testa del Presidente tra le mani per tenere insieme quello che rimaneva del cranio.
Uno choc profondo che finì per trasformarla da simbolo femminile positivo a personaggio scomodo.
Dalla gioventù di Jackie, primogenita di una famiglia dell'alta società newyorkese, ai retroscena di un matrimonio solo apparentemente da favola con John Fitzgerald Kennedy costellato dai tradimenti e dalla presenza delle amanti di un marito che finisce per relegarla nel ruolo di sorella, più che di moglie.
E poi l'assassinio di Jfk, che segnò in maniera più profonda di quanto ci è stato raccontato Jacqueline. Barbara Leaming documenta la lotta di Jackie con i tormenti che la accompagnarono nei successivi 31 anni di vita, chiamandoli per la prima volta con il loro nome: disturbo post-traumatico da stress.
Qui si intrecciano rivelazioni, aneddoti, ma anche dettagli della morte di Kennedy (Jackie che bacia le dita, la bocca del marito morto, gli sfila la fede insanguinata, cerca di indossarla ma è troppo grande per lei).
Il lutto, la solitudine, il ritorno in pubblico e alla vita mondana, le compagnie improbabili e i tanti, tantissimi uomini. Tra cui l'architetto John Warnecke, quello che costruì proprio la tomba di Jfk.