Dopo 25 anni di carcere il boss Giovanni Brusca da San Giuseppe Jato, può ricominciare. Oltre alla libertà, ha ottenuto una casa in una località segreta, una nuova identità, pulita, e quella che tecnicamente si chiama “indennità di mantenimento”. Ossia uno stipendio da parte dello Stato. I termini dell’accordo che Brusca ha firmato lunedì, prima di lasciare la cella di Rebibbia, sono noti solo al Servizio centrale di protezione del ministero dell’Interno. Documenti riservati, anzi “classificati”, perché Brusca non è un collaboratore di giustizia da poco. L’impegno riguarda però anche il boss, che dovrà rispettare regole precise. Tra l’altro, per quattro anni, sarà sottoposto al regime di libertà vigilata. Probabilmente l’obbligo di dimora, nel luogo segreto dove adesso risiede. Ovviamente non dovrà tornare a delinquere e non potrà violare alcune regole previste dal programma di protezione al quale ha aderito. Ieri, mentre infuriavano le polemiche sulla sua scarcerazione, il boss che ha azionato il telecomando di Capaci, era ancora «frastornato», ha contattato il suo avvocato Antonella Cassandro, per ringraziarla del lavoro svolto. Poi e sparito. Fino a tre giorni fa neppure lui sapeva della scarcerazione anticipata. Anche il legale, da oggi, avrà bisogno di un’autorizzazione per incontrarlo. Non dovrebbe essere così per i familiari stretti.
L’INDENNITÀ
LE POLEMICHE
Una collaborazione con la giustizia ancora avvolta da molte ombre quella di Brusca. Continua ad aleggiare il sospetto che abbia coperto alcuni favoreggiatori e che non abbia mai rivelato dove fosse il suo tesoro. La liberazione del boss sanguinario, che agli inquirenti non ha saputo neppure dire quanti omicidi avesse commesso, suscita reazioni contrastanti. L’avvocato Cassandro ribadisce: «Ha scontato la pena interamente in carcere ed espiato la sua colpa», ma sulla liberazione si dividono anche i parenti delle vittime. Maria Falcone (tra l’altro citata dal segretario del Pd Enrico Letta) ammette che la scarcerazione «è stata un pugno nello stomaco», ma ricorda che la legge applicata è stata voluta anche da suo fratello Giovanni e «ha consentito tanti arresti», sulla stessa linea la mamma e il fratello del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dal boss: «Umanamente non si potrà mai perdonare. Ma abbiamo fiducia nella magistratura che ci è stata sempre vicina. Brusca ha ucciso Giuseppe, ma espiato la pena nel rispetto della legge», dicono. Molto dura la vedova del capo scorta di Falcone, Tina Montinaro che si è detta delusa dallo Stato. E mentre la magistratura difende la legge sui pentiti, il leader della Lega Matteo Salvini suggerisce di cambiarla, mentre la presidente dei senatori di Fi Annamaria Bernini e Giorgia Meloni, leader di Fdi, parlano di «schiaffo alle vittime».
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Utilità Contattaci
Logout