Morto Gianluca Vialli, nuovo lutto nel calcio dopo Mihajlovic e Pelè. Da gemello del gol con Mancini a campione d'Europa in lotta con un tumore

Morto Gianluca Vialli, nuovo lutto nel calcio dopo Mihajlovic. Da gemello del gol con Mancini a campione d'Europa in lotta con un tumore
Morto Gianluca Vialli, nuovo lutto nel calcio dopo Mihajlovic. Da gemello del gol con Mancini a campione d'Europa in lotta con un tumore
di Gianluca Murgia
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Venerdì 6 Gennaio 2023, 10:36 - Ultimo aggiornamento: 17:37

Quel maglione, indossato sotto la camicia «per essere ancora il Vialli che tutti conoscevano», caro Gianluca, ora lo puoi togliere. Non serve più. Perché se la vita, come ripetevi, è per il 10% ciò che ti accade e per il 90% come reagisci, con la tua reazione divenuta lezione hai insegnato a tutti come si sta al mondo: lottando, sempre, dentro e fuori dal campo, con il coraggio e l'onestà di chi sa raccontarsi senza nascondersi, al punto di ammettere che «sì, ho paura di morire».

Gianluca Vialli, morto oggi in una clinica di Londra all'età di 58 anni dopo una partita lunga 5 anni contro un tumore al pancreas, il male più cattivo tra i mali cattivi, è stato tanti guerrieri in uno. Come lo era, a suo modo, Sinisa Mihajlovic, strappato alla vita dalla leucemia a soli 53 anni. E Pelè, morto a 82 anni sempre a causa di un male incurabile. Il calcio, vissuto con grinta, carattere e classe, come punto in comune. L'amicizia con Roberto Mancini come trait d'union: per Vialli era un fratello, per Sinisa un amico vero.  Che anni con Mancio alla Samp: insieme hanno mandato in onda un cartone animato per adulti, un Holly & Benji in scala 1 a 1, una favola reale, una riedizione di Davide che batte Golia, della Cenerentola che si scatena al gran ballo oscurando tutte le nobili del calcio. La magica coppia, i gemelli diversi della Doria, c'erano cascati di nuovo alla guida della Nazionale. Altro spettacolo per adulti, partendo da underdog. Vialli, dopo la vittoria agli Europei contro tutto e tutti, il 21 luglio 2021 era salito al Santuario della Beata Vergine della Speranza di Grumello Cremonese: un ringraziamento per aver sconfitto gli inglesi e messo all'angolo «quell'ospite indesiderato», come lo chiamava lui. Sembrava un manifesto della rinascita, non solo sportiva: è durato pochissimo. Dopo Sinisa Mihajlovic e Pelè un altro devastante lutto investe il mondo del calcio. 

Una scena già vista e vissuta, da vicino, ai tempi di Andrea Fortunato («Il mio angelo custode»), compagno di squadra alla Juve strappato alla vita nel giro di 11 mesi da una leucemia fulminante. Era il 25 aprile 1995. Vialli, da capitano, lo salutò in chiesa: «Ti credevamo invincibile. In questi undici mesi sei stato un esempio per noi, per come hai saputo affrontare problemi veri, non quelli legati a semplici vittorie o sconfitte, con coraggio e serenità, forza e determinazione».

Il giorni del dolore

Sono stati giorni veloci e carichi di dolore: Pelè dato in fin di vita (e poi spirato il 29 dicembre scorso), poi l'annuncio di Vialli, la morte di Mihailovic. Poi di nuovo Vialli con il ricovero in clinica e l'arrivo di sua madre 87enne a Londra (dove Vialli vive da anni) per quello che subito è apparso a tutti come l'ultimo saluto. In poco tempo tre lutti pesantissimi: uno dietro l'altro. 

Gianluca Vialli lascia sua moglie Cathryn White Cooper, sposata nel 2003, e le figlie Olivia e Sofia, e un intero mondo del pallone in lutto. Di lui restano tante immagini. L'ultima, la più iconica, quella dell'abbraccio con Mancini a Wembley dopo la vittoria dell'Europeo: fratelli d'Italia per sempre. 

La carriera

Anche un po' di Marche nella grande carriera di Vialli: il suo esordio a 17 anni con la Cremonese a San Benedetto del Tronto allo stadio "Ballarin": era il  27 settembre 1981.

All'inizio, dopo gli anni spensierati della Cremonese e dei gol a valanga nell'Under 21 di Vicini vicecampione d'Europa, Vialli fu riccioluto e poi ossigenato superbo attaccante, in coppia con il gemello Roberto Mancini, nella splendida Sampdoria scudettata (con lui capocannoniere) di Boskov, quello delle frasi cult.

Ricordate «Rigore è quando arbitro fischia»? Ecco: nella finale di Coppa Campioni, il punto più alto di quella splendida favola blucerchiata firmata Mantovani, contro il Barca di Guardiola giocatore e Cruijft allenatore, a Wembley, anno 1991-92, tutto svanì per colpa di un missile terra-aria di Ronald Koeman, un olandese che realizzava punizioni come fossero rigori. La velocità della palla toccò i 188 Km/h. Con tanti saluti a quella generazione di fenomeni.

Vialli si trasferì a Torino trasformandosi in maturo rasato capobanda di un tridente d'assalto, con Ravanelli e Del Piero (l'anno prima con Baggio), nella prima magnifica Juventus di Lippi. Finito anche quel ciclo, Vialli decise di trasferirsi in Inghilterra, da giocatore-manager (al posto di Gullit), nel Chelsea pre Abramovic. Fu un antesignano dell'Italian Job da esportazione, tutto classe, grinta e genialità, nella sua accezione più alta, con una storica Coppa delle Coppe messa in bacheca.

Capitolo Nazionale: con 59 presenze e 16 reti viene ricordato come talento mai del tutto sbocciato ma spesso ammirato per la sua generosità, per i suoi colpi di classe, per il suo essere centravanti moderno in un'epoca in cui gli attaccanti erano quasi tutti fenomeni. Troppo giovane con Bearzot in Messico nel 1986, oscurato dall'esplosione di Schillaci con Vicini a Italia '90, mai allineato a Sacchi di cui si ricorda solo una prestazione monstre contro l'Olanda.

La prima Juve

Anche la sua avventura alla Juve non era iniziata benissimo tanto che, sul viale dei 31 anni, il Trap (sempre sia lodato, ma non in questo caso) si era quasi convinto nel volerlo reinventare regista, dopo averlo visto sollevare la Coppa Uefa da numero 9 l'anno prima. Era l'estate del 1994, la Nazionale sacchiana aveva visto sfumare la Coppa del Mondo ai rigori e Vialli, per quei Mondiali, non era stato convocato. «Arrivò Marcello Lippi: il mio messia – raccontò - Al primo colloquio gli dissi che volevo lasciare la Juve. Mi rispose: “Proprio ora che arrivo io e ho bisogno di te?”». Seguirono scudetto, Coppa Italia, Supercoppa e Champions, l'ultima di casa Juve, sollevata nel cielo di Roma contro l'Ajax. Da stampare su qualsiasi superficie la sua risposta ad un giornalista dopo un Foggia-Juventus (2-0) alla sesta giornata della nuova era Lippi: «Una sconfitta pesante? Scrivetelo: questa Juve vincerà lo scudetto». E così fu, con 10 punti di vantaggio su Lazio e Parma. Un gruppo di marines forgiati da Ventrone ma anche dal dramma della  scomparsa di Andrea Fortunato, a soli 23 anni, di leucemia. 

Leader sempre

Vialli è stato fino alla fine un leader carismatico, un calciatore atipico, elegante quanto fisico, sfrontato ma educato, pronto a dare battaglia nel fango ma di famiglia buona. Nel suo palmares trovano spazio anche due settimi posti nel Pallone d'oro 1988 e 1991. Nel 2015 è stato inserito nella Hall of Fame del calcio italiano: è uno dei pochi giocatori al mondo ad aver vinto, in carriera, le tre coppe europee. Mai gol banali, i suoi, tra rovesciate e colpi acrobatici. Brera, non a caso, lo soprannominò StradiVialli. Ha saputo sempre rialzarsi. Anche quando fu testimone nel processo per doping che coinvolse la Juve poi assolta su tutta la linea. «La potevo vivere meglio? Sì. Poi ho capito che se ti preoccupi di quello che pensano gli altri appartieni a loro» raccontò durante una intervista. 

Fuori dal campo: Tv, scrittore e la fondazione con Mauro

Gianluca Vialli è stato un personaggio anche al di fuori del calcio. Sapeva parlare e non diceva cose banali. Le Tv se lo contendevano: opinionista su Italia 1 a Settimana Gol nel 1989 poi voce fissa di Sky dal 2002 fino al ruolo di guida con Lorenzo Amoruso nel reality Squadre da Incubo. Nel 2004 ha creato con Massimo Mauro e Cristina Grande Stevens,la "Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport", per raccogliere fondi per la ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica e sul cancro. Nel 2006 ha pubblicato "The Italian Job" in cui ha messo a confronto il calcio italiano e inglese. Nel 2018 il suo secondo libro, "Goals", in cui ha rivelato la battaglia contro un tumore del pancreas che l'aveva colpito nel 2017.

Le Marche sulla sua strada

Un po' di Marche lungo la sua strada: Roberto Mancini, l'amico di una vita, ma non solo. L'esordio in B nel 1981 con la Cremonese, a 17 anni, contro la Sambenedettese. Poi, nel 1984 il passaggio in A alla Sampdoria con la conquista della Coppa Italia. Con Mancini da Jesi fu subito una questione di feeling: i due, ribattezzati i gemelli del gol, rifiutarono più volte le offerte milionarie di Juve, Milan e Napoli pur di restare insieme (e vincere) alla Samp. Il muro cadde dopo quella sconfitta di Wembley: Vialli vestì bianconero per la cifra record, allora, di 40 miliardi di lire (soldi più il cartellino di diversi giocatori tra cui l'anconetano Bertarelli).

Un arrivederci diventato addio

Tra la Nazionale e Vialli, che da anni viveva a Londra, il ritorno di fiamma c'è stato invece nel 2019: prima è stato nominato dalla Figc ambasciatore italiano per il campionato d'Europa 2020, poco dopo è arrivata l'investitura a capo delegazione della squadra allenata proprio da Roberto Mancini. Il resto, è storia moderna, come l'abbraccio iconico tra i due gemelli del gol, diventati grandi, sotto il cielo e le lacrime liberatorie di Wembley dopo la clamorosa vittoria dell'Italia ad Euro 2020. Sembrava la cartolina finale, definitiva, quella più bella, invece lo scorso 14 dicembre è arrivato l'annuncio, carico di brividi, di lasciare quell'incarico: «Al termine di una lunga e difficoltosa “trattativa” con il mio meraviglioso team di oncologi – ha spiegato Vialli che, nel 2017, aveva  rivelato la lotta contro la malattia dopo la diagnosi, l'intervento chirurgico e la pesante terapia sostenuta -, ho deciso di sospendere, spero in modo temporaneo, i miei impegni professionali presenti e futuri». Un arrivederci diventato addio.

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