Niente ristorante, pochissimi spettacoli, cinema e teatri; meno treni e aerei, grande attenzione a non spendere per camicie, pantaloni e scarpe. Cambiano drasticamente i consumi degli italiani, e si vede tutto il passaggio dello tsunami Covid sulla vita delle persone. Crollano le spese per i settori che hanno conosciuto le maggiori restrizioni, tra lockdown e zone rosse: lo diceva l’intuito, ora lo conferma l’Istat nel suo report annuale sui consumi. La spesa media delle famiglie nel 2020 è crollata del 9% rispetto al 2019. Un arretramento di queste proporzioni non si è mai visto da quando l’Istat realizza le sue serie storiche, cioè da 24 anni. Il consumo medio mensile era di 2560 euro al mese nel 2019, è sceso a 2328 euro nel 2020, anche se la metà delle famiglie non arriva a spendere 2mila euro al mese. A scendere in picchiata sono hotel e ristoranti (circa il 40% in meno), gli spettacoli e la cultura (-26,4%), il trasporto (-24,6%) e il settore abbigliamento e calzature (-23,3%). Cresce, invece, del 20% la quota di prodotti alimentari e bevande sul consumo totale mensile. Ma quello che impressiona di più è che siamo tornati indietro di vent’anni. I consumi familiari del 2020, infatti, sono pari a quelli del 2000. Quasi una generazione. In un anno, un balzo di venti.
Mai visto un crollo simile, con questi numeri e con questa tipologia, così nettamente correlata a un evento. Nei periodi più acuti di crisi dal 1997 al massimo si erano avute contrazioni nelle spese del 6%, dopo la grande gelata del 2008.
Ma la spesa resta differente a seconda delle zone. Se nel Nord-est si spendono infatti 2.525 euro al mese, nel Sud ci si ferma a 1.898 euro. In Puglia e Basilicata si scende anche a 1700. Un solo dato accomuna tutti, dalle montagne al mare, dal Settentrione al Sud, dai ricchi ai poveri: si è tornati indietro. Un vero e proprio salto al passato. Mai era stato così significativo, addirittura di vent’anni. È come se ci fossimo paralizzati, congelando abitudini, tenendoci strette quelle di sempre, rinunciando al cambiamento e allo sguardo sul futuro, e ripiegandoci fino ad arrivare addirittura a vent’anni fa, al Duemila. Un’epoca.
Cominciava un anno, un decennio, un secolo e un millennio, quella notte unica del 31 dicembre 1999, e chi si è trovato a viverla ha provato il sentimento dell’evento epocale. C’era ancora la lira, l’euro esisteva sulla carta ma la prospettiva era segnata. Sotto i televisori campeggiavano i videoregistratori e sulle pareti distese di videocassette. Per scattare una foto ci voleva il rullino, e per vederla bisognava attendere sviluppo e stampa. Qualcuno più attrezzato aveva già una digitale ma di certo non ci si faceva selfie per pubblicarli subito sui social. I social stessi non c’erano. Per entrare in Internet ci voleva il suono stridulo di un modem, che lanciava lamenti prolungati e poi si zittiva, mentre a urlare erano i genitori per la bolletta carissima dell’abbonamento. Ci si connetteva solo seduti a una scrivania, legati a un filo. Le chat erano finestroni di cemento, lente come elefanti. Esisteva Mirc, un mega collettore di stanze a tema. I newsgroup, per discutere. E per i più semplici, C6, con nickname fantasiosi e poco altro. I cellulari erano scatolette metalliche come il Nokia 3210, che ogni anno si aggiornavano ma nella forma e nei colori, in una gara con il Motorola Startac, con gli sportellini. E in quella fase il nome del gestore era fondamentale, perché ci si poteva chiamare a prezzo scontato tra Omnitel e Omnitel, tra Tim e Tim, ma guai a chiamare uno che aveva il contratto con un altro operatore. Salasso! Telefonare dopo le 20, chiamare il sabato e la domenica. Per gli sms si aspettavano le card natalizie. Nel paniere Istat c’era il walkman, c’erano i Cd, c’erano anche i floppy disk, oltre al noleggio dei film in videocassetta. Niente smartphone, niente tablet. Tutto sembrava più lento. Questo era il Duemila. Chi è nato allora, oggi ha 21 anni. È un adulto. Ma che ne sanno i Duemila, canta Gabry Ponte: che ne sanno di Fiorello al Karaoke e di Bim Bum Bam. Eppure, spendevamo, in proporzione, gli stessi soldi che spendiamo adesso. È cambiato tutto, in questi vent’anni, ma non è cambiato nulla. È passata un’epoca ma siamo ancora lì.
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