Covid, Crisanti pessimista: «Il tracciamento ormai è inutile, fermiamoci due o tre settimane»

Covid, Crisanti pessimista: «Il tracciamento ormai è inutile, bisogna passare alle chiusure»
Covid, Crisanti pessimista: «Il tracciamento ormai è inutile, bisogna passare alle chiusure»
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Giovedì 15 Ottobre 2020, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 11:49

Verso un nuovo lockdown a Natale, forse anche prima? Il virologo Andrea Crisanti è pessimista, e ritiene che i risultati del tracciamento dei contatti per quanto riguarda i positivi sia ormai al fallimento. Intervistato dai quotidiani La Stampa Il Messaggero, Crisanti spiega come ci sia poco da illudersi sui numeri, anche dopo il Dpcm entrato in vigore ieri: «Adesso è tardi per il contact tracing, con questi numeri bisogna diminuire i contatti personali e passare a chiusure via via più estese».

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Secondo il virologo «il virus passerà inesorabilmente dai giovani agli anziani facendo salire i ricoveri. E purtroppo anche i decessi. «Così come siamo il sistema è saturo - afferma il microbiologo dell'Imperial College di Londra -. Per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140 mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95% di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese. È la Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing», dice a La Stampa.

Concetto, questo dell'inopportunità, a questo punto, del tracciamento dei contatti, che Crisanti ribadisce anche con il Messaggero, dove spiega che «è tutto il sistema che non funziona. Mancano le persone, le competenze e la possibilità di fare i tamponi per portare avanti la sorveglianza attiva. E questa non era una cosa da fare a livello regionale, serviva un piano nazionale». «Ormai l'aumento dei casi non lo fermiamo più né con il contact tracing e nemmeno con quello che chiamiamo 'network testing' - prosegue Crisanti -. Tanto per capire, il metodo che abbiamo utilizzato a Vò Euganeo o al Senato, testando un'intera comunità a rischio di contagio. Da spendere abbiamo solo le misure di contenimento dei contatti sociali, diminuire i contatti interpersonali come già si cerca di fare, per poi passare via via alla chiusura delle attività meno essenziali e, se si rendesse necessario, alle altre. Altrimenti bisognerà girare quello che gli inglesi chiamano l'interruttore di trasmissione: ci fermiamo tutti per due tre settimane».

«Quello che si poteva fare - dice il microbiologo - l'ho già proposto tempo fa.

Con 40 milioni di investimento potremmo acquistare i macchinari capaci di processare più tamponi in meno tempo e con minor uso di reagenti, come abbiamo fatto a Padova. Il costo a regime sarebbe di due milioni al giorno. Con il modo che abbiamo oggi di eseguire i test stiamo spendendo di più. Avremmo dovuto varare un piano nazionale di sorveglianza con investimenti massicci per aumentare il numero dei tamponi. Quelli veri, non questi rapidi che hanno ancora una sensibilità bassa e non vanno bene in situazioni come quelle di una classe dove ci sia un positivo ed è necessario invece testare tutti con il tradizionale tampone molecolare. Quelli rapidi funzionano per gli screening, che sono un'altra cosa». 

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