Covid a Roma, marito e moglie morti a due settimane di distanza. Il figlio: «A mia mamma nemmeno il tampone»

Roma, Rufino e Lina morti a due settimane di distanza. Il figlio: «Abbiamo lottato per il ricovero, a mia mamma nemmeno il tampone»
Roma, Rufino e Lina morti a due settimane di distanza. Il figlio: «Abbiamo lottato per il ricovero, a mia mamma nemmeno il tampone»
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Mercoledì 15 Luglio 2020, 12:44 - Ultimo aggiornamento: 14:06
Quella di Rufino e Lina è una delle tante, troppe storie drammatiche di questi mesi di pandemia. Marito e moglie, lui 88 anni e lei 77. Originari dell'Umbria si erano sposati da giovani per poi trasferirsi a Roma per il resto della loro vita. Sono morti entrambi, uccisi dal coronavirus a due settimane di distanza uno dall'altro. Come racconta il Messaggero nell'articolo a firma di Michela Allegri, il figlio Carlo non ci sta e ha denunciato in procura l'esperienza vissuta dai genitori. Il primo a perdere la vita è stato il papà Rufino Riganelli, seguito dalla mamma Lina Moscatelli. 

«Per farli ricoverare abbiamo dovuto combattere - spiega il figlio al Messaggero - il primo ad ammalarsi è stato papà, se ne è andato in pochi giorni. E mamma, che lo accudiva, si è contagiata. Non le hanno nemmeno fatto un tampone. La cosa più assurda è che la Asl ci ha telefonato per sapere come stava quando era già morta». 

Rufino era autista dell’Atac in pensione. «Era pieno di vita, aveva appena rinnovato la patente, ma quel virus l’ha colpito in modo feroce - racconta ancora Carlo Riganelli - A fine marzo ha cominciato ad avere la febbre». Secondo la ricostruzione del quotidiano romano il medico di famiglia in primo luogo pensava si trattasse solo di un'infiammazione ma con il peggiorare della situazione ne ha disposto il ricovero presso l'ospedale Vannini lo scorso 2 aprile. Lì è risultato positivo al tampone. Nove giorni dopo è morto. «E pensare che per farlo ricoverare abbiamo dovuto pure insistere e arrabbiarci - dice ancora il figlio - Quando è venuta l’ambulanza a prenderlo gli avevamo appena dato una tachipirina, quindi la febbre era scesa sotto i 37 gradi. L’operatore sanitario mi ha quasi insultato, ha cominciato a dire che se non aveva almeno 37,5 non potevano prenderlo in carico. Quando abbiamo insistito e ha dovuto indossare la tuta anti-contagio si è lamentato accusandoci di fare sprecare soldi alla sanità pubblica e di stare togliendo un mezzo di soccorso a chi era davvero malato». 

La denuncia in procura depositata nei giorni scorsi a Bergamo (fa parte del “Comitato Noi Denunceremo”) non è tanto per la gestione della malattia del papà, quanto per ciò che è avvenuto dopo. «Mia madre è stata praticamente abbandonata a se stessa», spiega Carlo Riganelli. Alla donna non è stato fatto il tampone, lei che lo aveva accudito nei primi giorni dei sintomi del marito. «Era chiaro che si sarebbe ammalata anche lei - sottolinea il figlio - hanno temporeggiato, nonostante decine di segnalazioni fatte alla Asl nessuno ha mosso un dito». 

Il 6 aprile sono infatti sopraggiunti i primi sintomi. «Noi eravamo tutti in quarantena in case diverse, mamma ha vissuto in totale solitudine, non la hanno ricoverata nemmeno dopo la segnalazione fatta dal nostro medico. La Asl Roma 2 non si è fatta viva. Siamo riusciti a fare ricoverare mamma per un peggioramento solo il 14 aprile, è stata per 12 giorni a casa senza tutele. Il 28 aprile è morta. Almeno siamo riusciti a vederla con una videochiamata prima che ci lasciasse». 

Infine la beffa. Il 28 maggio, a un mese dalla morte della signora Lina, i figli hanno ricevuto la telefonata dalla Asl: «Hanno chiesto informazioni su nostra madre, volevano sapere come stava, se aveva ancora la febbre e i sintomi del coronavirus, forse si trattava di una verifica statistica - racconta Riganelli - quando abbiamo fatto presente che mamma era morta ci hanno risposto: “Ci dispiace, la pratica è arrivata solo adesso nel nostro ufficio”. A loro risultava che mia madre fosse ancora in quarantena».
 
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