Carlo Vicentini, colleghi del primario che ha ucciso moglie e figli sotto choc: «Non ha retto alla sofferenza del figlio»

L'urologo Vincenzo Cipolletti: «Era sempre in ospedale dalla mattina alla sera. Era un valido professionista, tanto che si sono fatti operare anche ambasciatori e persone famose»

Il primario Carlo Vicentini. Colleghi sotto choc: «Carlo non ha retto alla sofferenza del figlio»
Il primario Carlo Vicentini. Colleghi sotto choc: «Carlo non ha retto alla sofferenza del figlio»
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Domenica 2 Aprile 2023, 19:39 - Ultimo aggiornamento: 3 Aprile, 12:34

Diretto, immediato, a volte anche un po’ scontroso, come racconta chi gli è stato vicino, ma così amabile e gentile da farsi perdonare tutto. Un uomo tutto d’un pezzo, d’altri tempi, spesso non facile, ma uno, come ha detto il rettore dell’Università dell’Aquila, Edoardo Alesse, «di cui potersi fidare». Non sono mancati i conflitti caratteriali con chi lo frequentava professionalmente. Così era in vita Carlo Vicentini, h24 immerso nel suo lavoro, senz’altro uno dei professionisti tra i più validi in circolazione, dal cuore grande.

Il racconto


Racconta Alba (nome di fantasia), un’infermiera di Teramo che ha collaborato con lui: «Mi ha sostenuto quando avevo un brutto male, disponibilissimo e persona splendida, mi ha saputo indirizzare e si è fatto in quattro per me». Ma l’infermiera non è l’unica ad aver ricevuto il sostegno in momenti difficili, spiega l’urologo Vincenzo Cipolletti, che per molti anni ha condiviso la stessa corsia del suo primario dell'ospedale Mazzini” di Teramo: «Molti non potevano permettersi determinate parcelle, allora interveniva e pensava a tutto lui». Dopo una full immersion tra sale chirurgiche e corsie, dormiva poco o niente la notte per cambiare la posizione a suo figlio gravemente malato. Inspiegabile il suo gesto di sterminata la sua famiglia a un mese dalla pensione: il figlio Massimo, 43 anni, che combatteva contro la distrofia muscolare, la figlia  Alessandra, 36 anni, dietologa all'ospedale di Teramo, la moglie Carla, 63 anni, ex impiegata Asl.

Il ricordo


Per il dottor  Cipolletti forse il fatto che «abbia lasciato da poco il suo lavoro cui ci teneva tanto, era in pensione da dicembre, assieme alle condizioni del figlio, può aver fatto scatenare uno stato depressivo, l’ho sentito l’ultima volta un mese fa, ero all’Aquila, ma non volle incontrarmi a causa del peggioramento di Massimo. Non so come leggere questa tragedia, nemmeno si può giustificare, ma penso, conoscendolo, che abbia voluto tutti con sé fino all’ultimo, che non abbia voluto lasciare moglie e i due figli, dietro il gesto c’è anche tanta impotenza e depressione, non ha retto alla sofferenza di Massimo con cui aveva stabilito un cordone ombelicale».


Un’altra infermiera lo ricorda così: «Era una persona sì autoritaria, perché teneva al suo lavoro che doveva essere fatto in un certo modo, ma poi fuori nelle cene si scherzava, era amabilissimo, del resto se sul lavoro non avesse avuto un minimo di polso le cose gli sarebbero potute sfuggire di mano, ne avrebbe sofferto il reparto». Alcuni “suoi” medici preferiscono non commentare la notizia e il riserbo si fa strada davanti a una tragedia simile.
Prosegue Cipolletti, presente all’ospedale “Mazzini” fin dal 1977: «Era ficcato in ospedale dalla mattina alla sera, era un uomo della sanità pubblica, non mancava mai se non per qualche congresso. Era un valido professionista, tanto che si sono fatti operare anche ambasciatori e persone famose.

Con lui ho avuto un rapporto non facile, a volte conflittuale, però mi ha privilegiato, voleva me accanto in sala operatoria».

Le battaglie


All’interno della Asl ha portato avanti battaglie per il suo reparto di urologia anche attraverso digiuni: molti teramani lo sostennero nel 2013 quando l’allora dg Giustino Varrassi lo dovette reintegrare al lavoro, su indicazione del Tar regionale, malgrado una convenzione con l’università dell’Aquila che non prevedeva la sua presenza in reparto. In quell’occasione un centinaio di persone manifestarono per la sua permanenza. Un cittadino che aveva un cancro alla prostata scrisse nel suo cartello: «Abito a Teramo, voglio godermi la struttura e un professore bravo e umano».
«Dite una preghiera, non giudicate» è il commento di Luciana sui social. E proprio in rete si è acceso il dibattito su chi “celebra” le qualità umane e professionali del professionista e chi, ovviamente, condanna la strage senza se e senza ma. Un dibattito destinato comunque a restare sterile davanti a un fatto di tale gravità.

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