SAN BENEDETTO - La Rcf, leader dei sistemi audio chiude lo stabilimento di San Benedetto e trasferisce tutta la produzione a Reggio Emilia, lasciando i dipendenti senza lavoro.
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Una vertenza denunciata da Cgil e Uil e di cui sono stati informati il presidente della Regione Acquaroli e l’assessore Castelli.
La chiusura
L’annuncio di cessazione dell’attività era arrivata nei giorni scorsi ed è stato un fulmine a ciel sereno dal momento che lo scorso 20 ottobre, nell’ultimo incontro aziendale congiunto con le maestranze emiliane, l’azienda aveva garantito la tenuta dei livelli occupazionali e la presenza produttiva a San Benedetto.
I sindacati
«È mai possibile – affermano le segreterie provinciali Fiom Cgil con Alessandro Pompei e Uilm Uil con Marco Piattelli - che si ricevano soldi garantiti dallo stato italiano e si chiudano siti produttivi? È stata la chiusura di San Benedetto uno dei requisiti di riorganizzazione presenti nel nuovo piano industriale 2021 che ha aperto le porte al finanziamento delle banche? Come organizzazioni sindacali oltre a manifestare il nostro sconcerto e l’incomprensione rispetto ad un palese voltafaccia aziendale, abbiamo proposto l’utilizzo di tutte le forme conservative dei posti di lavoro (ammortizzatori sociali Covid, contratti di solidarietà e cassa integrazione ordinaria) al fine di superare le difficoltà dovute alla pandemia in contemporanea all’istituzione di un tavolo di confronto con la Regione e le istituzioni locali per trovare insieme tutte le soluzioni».
Precisa scelta
Da rimarcare che il sito produttivo di San Benedetto, dall’inizio della pandemia, ha usufruito in maniera sensibilmente inferiore al sito produttivo di Reggio Emilia della cassa integrazione e nel mese di dicembre ha lavorato a pieno regime. Questo perchè su San Benedetto si produce public address system (un prodotto che in questo momento non sta subendo flessioni di mercato significative). L’azienda è stata sorda rispetto alle nostre proposte, negandoci di fatto ogni possibilità di discussione e condannando i lavoratori ad una scelta drammatica: trasferirsi o essere licenziati. L’impresa sa bene che dipendenti con una età media di 45/50 anni, alcuni con problemi familiari, non affronterebbero un trasferimento in una realtà a 400 km di distanza, in cui dovrebbero sostenere spese non indifferenti oltre ad una riduzione del reddito da lavoro dovuta ad una eventuale cassa integrazione».