Assolto per due volte dalle accuse di maltrattamento su giovani malati a Grottammare. Il coordinatore Roberto Colucci: «Vi racconto i miei anni di inferno»

Casa di Alice, sentenza confermata dalla Corte di Assise e d’Appello

Assolto per due volte dalle accuse di maltrattamento su giovani malati. Il coordinatore: «Vi racconto i miei anni di inferno». Nella foto un momento del processo
Assolto per due volte dalle accuse di maltrattamento su giovani malati. Il coordinatore: «Vi racconto i miei anni di inferno». Nella foto un momento del processo
di Laura Ripani
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Sabato 4 Febbraio 2023, 03:45 - Ultimo aggiornamento: 11:30
GROTTAMMARE - Nessuno potrà restituirmi gli anni d’inferno che ho trascorso». Roberto Colucci parla per la prima volta dopo la sentenza di assoluzione, confermata dalla Corte di Assise e d’Appello sul caso dei presunti maltrattamenti alla Casa di Alice. Lui che ne era il coordinatore, finalmente si sente più leggero. 


Il racconto 


«Quello che abbiamo trascorso, soprattutto fino alla sentenza di primo grado, è sicuramente riduttivo e non si può quantificare, non si rende l’idea per la sofferenza patita e le ripercussioni che tutta questa vicenda possa aver avuto sulla mia famiglia. Non penso ci sia qualcuno che pagherà per tutto questo. Nell’assoluzione di secondo grado la parte civile è stata condannata al pagamento delle spese processuali, ma non di quelle che noi abbiamo dovuto sostenere per i nostri avvocati, per i tecnici, per i viaggi». La vicenda ha avuto eco nazionale, i protagonisti furono sbattuti come mostri in prima pagina. «È stato difficilissimo superare quel periodo in cui tutti (o quasi) ci davano addosso - spiega ancora Colucci -: purtroppo siamo inclini al facile giudizio e ci ergiamo a detentori della verità solamente perché i social media oggi ci danno la possibilità di dire il nostro parere. Prego tutti i giorni affinché io non cada nello stesso inganno di giudicare o peggio di essere in balia del pregiudizio». Ma ancora non si comprende perché tutto questo sia accaduto.

La vicenda

«È difficile - aggiunge l’operatore - rendere razionale questa vicenda se non vedendola dalla parte di chi non conosce appieno le difficoltà di chi opera nel sociale.

Spesso ci si trova a dover lavorare con i mezzi esigui, luoghi inadeguati, affrontando situazioni difficilissime. Nella superficialità è possibile travisare, vedere cose diverse… ma quello che conta è che i giudici, per due gradi di giudizio, abbiano accertato la nostra non volontà di ledere, di fare del male agli altri». Da un giorno all’altro poi gli operatori hanno perso il posto di lavoro e i pregiudizi non erano pochi. «A 50 anni è difficile rimettersi in gioco - conviene Colucci -: e lo è ancor di più quando si è stigmatizzati da una vicenda che ha avuto un enorme clamore mediatico. Purtroppo siamo stati costretti a licenziarci e ognuno di noi ha avuto enormi difficoltà lavorative. I lavori trovati sono stati saltuari, precari o a partita Iva, lontani dalle garanzie perse. Personalmente posso ritenermi fortunato ad aver incontrato un medico, Attilio Cavezzi, e dei colleghi favolosi, che non mi hanno mai giudicato, mi sono appassionato al mondo dell’HRV (heart rate variability), una tecnica che ci permette di esplorare il sistema neuro vegetativo per il miglioramento della propria salute».


Le famiglie


«Il carico emotivo e la sofferenza derivata da questa vicenda è stata sostenuta dalle nostre famiglie - chiude Colucci - e sono grato a mia moglie per l’amore e la vicinanza che ha saputo offrirmi. E poi gli amici, la fede e la preghiera...sono stato aiutato da padre Silvano dei Sacramentini, ho confidato nei nostri avvocati, Gennaro Lettieri, Donatella Di Berardino e Francesco Voltattorni». Soprattutto Colucci dice di aver imparato «a vivere amando, senza rancori».

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