Trecento aziende picene sono pronte a riaprire i cancelli

La Pfizer è una delle poche industrie di Campolungo rimaste sempre aperte
La Pfizer è una delle poche industrie di Campolungo rimaste sempre aperte
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Domenica 12 Aprile 2020, 14:16

ASCOLI  - Dentro l’uovo di Pasqua migliaia di lavoratori piceni, oltre ai timori del Coronavirus, troveranno la cassa integrazione. Sono finora infatti circa 3.800 le richieste di cassa integrazione, sotto varie forme, presentate dalle aziende della provincia di Ascoli. Alle aziende più strutturate che non rientrano fra i servizi ritenuti essenziali, che hanno dovuto lasciare a casa gli operai, si aggiungono soprattutto commercianti, piccoli esercenti (ristoratori, baristi, parrucchieri, estetiste) e ora dipendenti di studi professionali. «Nel complesso sono circa duemila» annuncia Teresa Ferretti, sindacalista della Cisl.

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E questa volta ci sono anche categorie finora mai toccate dalla crisi economica, «Fra le richieste di cassa integrazione infatti - rimarca Teresa Ferretti - compaiono anche dipendenti di studi notarili, ambulatori medici e odontoiatrici privati, che finora non avevano mai ottenuto un ammortizzatore sociale. Per non parlare dei 474 lavoratori che lavorano in 82 aziende con contratto di somministrazione. Su tutti questi aspetti, prima o poi bisognerà avviare una riflessione seria».

Chi è stato collocato in cassa integrazione ordinaria percepisce mediamente fra i mille e i 1200 euro lordi al mese che vengono erogati dall’Inps o grazie alle anticipazioni delle aziende. La stessa cifra vale anche per chi è stato posto in cassa integrazione in deroga (è solo l’Inps a pagare). Per gli artigiani invece è previsto un assegno lordo di 1129 euro che viene corrisposto da un fondo. Trascorsi trenta giorni è possibile richiedere l’anticipo presso gli istituti bancari. 

Ma a fronte di aziende costrette a tenere chiusi i cancelli ce ne sono altre della provincia che vogliono tornare a produrre. L’occasione propizia è il nuovo decreto del governo che allarga le maglie delle restrizioni. Delle 425 imprese che già si erano rivolte al prefetto con un’autocertificazione circa trecento sono già disposte a ripartire dopo lunedì. Molte infatti rientrano nella filiera di quelle aziende che forniscono servizi essenziali. Diverse si sono riconvertite pur di non spegnere gli impianti e sopravvivere in attesa di tempi migliore per rilanciarsi.

Proprio il tema della ripresa industriale è stato al centro di un confronto fra imprenditori e sindacati. I primi hanno assicurato di essere in grado di rispettare il protocollo sulla sicurezza che prevede misure particolari (distanziamento sociale, mascherine, gel disinfettante, misurazione della temperatura corporea all’ingresso degli stabilimenti). «Dove ci sono rappresentanze sindacali le verifiche sul protocollo nelle aziende sono accurate - afferma Teresa Ferretti - ma in quelle piccole, con pochi dipendenti e senza le Rsu, chi controlla? Mi auguro che le forze dell’ordine svolgano con capillarità i loro controlli.

Ne va della salute dei dipendenti e dell’intera comunità».

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