La condanna
Per quei fatti, il gup Alessandra Panichi ha condannato a dicembre di quello stesso anno, Petre Lambru, muratore romeno oggi cinquantanovenne, ritenuto colpevole, in concorso con il nipote all’epoca dei fatti minorenne, di omicidio volontario a 14 anni di carcere. Domani, davanti ai giudici della corte d’assise, si aprirà il processo di secondo grado. Nell’argomentare il suo ricorso, l’avvocato Carnevali ha contestato la ricostruzione fatta dal giudice di primo grado mettendo in evidenza il ruolo avuto dal suo assistito nell’aggressione. In particolare, il penalista tiene a far emergere la mancanza di un movente che abrebbe potuto indurre Petre Lambru a compiere l’omicidio e anche che, dai risultati dell’attività di indagine e dalle testimonianze acquisite dagli inquirenti, non sarebbe emersa nessuna prova che lo zio fosse a conoscenza del possesso del coltello da parte del nipote quando, quella sera, i due uscirono di casa insieme per andare ad incontrare Lettieri. Di fatto, Petre Lambru non sapeva delle intenzioni del minore che nel corso dell’aggressione sferrò le coltellate rivelatesi letali.
La volontà
Di certo, secondo quanto sostenuto dall’avvocato, non c’era la volontà del suo assistito di uccidere e quindi che venga riconosciuta la circostanza del concorso anomalo nell’omicidio. A incastrare Petre Lambru era stato lo stesso Lettieri che poco prima di morire, ebbe solo il tempo di chiamare il 112 dicendo di essere stato accoltellato e a farlo era stato era stato il «padre di Bogdan» indicando dunque il muratore romeno.
La telefonata
Per la difesa, quella frase pronunciata al telefono fu pronunciata per garantire agli investigatori una maggiore efficacia nell’individuazione dei responsabili dal momento che, dalle testimonianze, sarebbe emerso che la vittima non conoscesse il nome del minorenne. Quindi, Lettieri non avrebbe fatto il nome dell’omicida ma avrebbe fatto in modo che si potesse più facilmente individuare il responsabile dell’aggressione. Nel ricorso, poi, si contesta la pena inflitta ritenuta troppo severa per il ruolo avuto dallo stesso Lambru e la mancata concessioni delle attenuanti. Petre Lambru venne fermato dai carabinieri a poche ore dalla morte dell’ex collaboratore di giustizia; il minorenne, invece, si presentò spontaneamente due giorni più tardi in caserma per confessare il fatto. Il nipote è stato condannato dal tribunale per i monorenni di Ancona a 11 anni e 4 mesi di detenzione. Divenuto nel frattempo maggiorenne, sta scontando la pena nel carcere di Potenza.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Utilità Contattaci
Logout