«Uccise il figlio con un’arma da guerra, condannate Loris Pasquini a 15 anni di carcere»

«Uccise il figlio con un’arma da guerra, Loris Pasquini si merita 15 anni di carcere»
«Uccise il figlio con un’arma da guerra, Loris Pasquini si merita 15 anni di carcere»
di Federica Serfilippi
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Sabato 12 Febbraio 2022, 06:40

SENIGALLIA  - Quindici anni di reclusione per aver ucciso il figlio Alfredo con un colpo di pistola. È questa la condanna chiesta ieri mattina dal pm Paolo Gubinelli per il 73enne Loris Pasquini, l’ex ferroviere di Senigallia finito davanti alla Corte d’Assise per omicidio volontario e porto abusivo di armi.

Il delitto fu consumato nel pomeriggio dello scorso 29 marzo, nell’abitazione di Roncitelli che padre e figlio condividevano.

La pena richiesta per altro è contenuta dal riconoscimento delle attenuanti generiche, addirittura prevalente rispetto all’aggravante di aver commesso il delitto ai danni del figlio.


L’imputato, ieri presente in udienza, si trova attualmente ai domiciliari. La sentenza è attesa per il 25 febbraio. Nelle tre ore di requisitoria, il pubblico ministero ha ripercorso il contesto familiare dietro la tragedia e i momenti concitati che portarono allo sparo, partito da una Beretta 34 («un’arma da guerra» ha detto il pm) che Pasquini, questa l’accusa, deteneva irregolarmente.


Il proiettile aveva colpito il 26enne Loris, seguito dal Centro di Salute Mentale per suoi problemi psichiatrici, alla base del collo. Prima del colpo, una furibonda lite. L’ennesima. «I litigi – ha ricordato il pm – non erano a senso unico e i contrasti avvenivano anche per motivi economici. Quel giorno, Loris doveva liberarsi del problema rappresentato da Alfredo. Non c’è stato un eccesso colposo di legittima difesa, né un omicidio preterintenzionale: il colpo non è partito accidentalmente».


Il pm ha anche riportato una frase detta da Pasquini agli inquirenti dopo il delitto: «Se avessi avuto più proiettili li avrei sparati». Per la difesa, rappresentata dagli avvocati Roberto Regni e Silvia Paoletti, quel giorno l’imputato si sarebbe solo difeso dalla «furia di Alfredo». Il 73enne sarebbe stato ferito da due bastoni, di cui uno con i chiodi. Tesi, questa, smentita dall’accusa dato che «era stato trovato dal medico legale solo un edema sul dorso della mano» dell’imputato. I legali dell’imputato hanno parlato di un «contesto familiare disastroso», causato dai problemi psichiatrici di Alfredo e «dall’uso di droghe. Pasquini sarebbe potuto tornare in Tailandia (paese dove aveva vissuto, ndr) ma è rimasto a Senigallia per stare vicino al figlio».


Nel 2019 Alfredo era stato denunciato dal padre per maltrattamenti. Il 73enne per chiedere aiuto aveva anche inviato un esposto al Centro di salute mentale, al sindaco, alla questura e ai vigili urbani. Sarebbe stata l’esasperazione a innescare la tragedia del 29 marzo. La difesa ha chiesto l’assoluzione o, in subordine, la derubricazione del reato in omicidio preterintenzionale. Parte civile al processo, con il legale Stefano Luzietti, è l’ex moglie del 73enne, nonché madre della vittima. 

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