Il papà-killer al giudice: «Giuro, volevo mirare alla coscia. Che dolore vedere mio figlio Alfredo morto»

Carabinieri al lavoro nella villetta di Roncitelli in cui Loris Pasquini ha ucciso il figlio Alfredo
Carabinieri al lavoro nella villetta di Roncitelli in cui Loris Pasquini ha ucciso il figlio Alfredo
di Federica Serfilippi
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Venerdì 2 Aprile 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:42

SENIGALLIA - «Sono dispiaciuto per quanto accaduto. Sono andato oltre rispetto a quello che immaginavo: ho mirato alla coscia, non volevo uccidere mio figlio». Rispondendo in videoconferenza al gip Sonia Piermartini ha ribadito la versione già espressa in prima battuta ai carabinieri Loris Pasquini, il 72enne arrestato lunedì sera con l’accusa di aver ucciso con un colpo di pistola il figlio Alfredo, 26 anni, all’esterno della loro villetta di Roncitelli.

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Durante l’udienza di convalida del fermo, l’ex ferroviere ha ripercorso con estrema lucidità i minuti concitati che hanno portato al delitto, riferendo del clima di violenze e soprusi in cui ormai era costretto a vivere a causa del rapporto conflittuale con il figlio, seguito dal Centro di Salute Mentale di Senigallia e invalido psichico al 100% dallo scorso novembre (in precedenza il grado di invalidità era all’80%). 
Il giudice si è riservato sulla convalida e sulla misura cautelare da applicare. Il pm Paolo Gubinelli ha chiesto la conferma del carcere, dove il pensionato si trova dal giorno dell’arresto, mentre il difensore Roberto Regni i domiciliari e una perizia psichiatrica per l’ex ferroviere, gravato da alcuni precedenti per violenza domestica. Nel corso dell’interrogatorio, il pensionato, parlando del legame burrascoso con Alfredo, ha riferito di aver denunciato il figlio nel 2013 e nel 2015. In entrambi i casi, l’accusa era maltrattamenti in famiglia. Le querele erano state poi ritirate «perché era mio figlio. Non me la sentivo di andare vanti». Un ripensamento, forse, dettato dalla volontà di gestire e ricucire il rapporto con Alfredo che, a detta dell’indagato, «non prendeva mai le medicine che gli venivano prescritte». Una mancanza (appesantita a volte dall’uso di stupefacenti) che avrebbe contribuito ad innescare le continue crisi del 26enne e le conseguenti litigate con il padre.
L’ultima è stata quella di venerdì pomeriggio, iniziata in auto – quando i due erano di ritorno dalla fermata del bus dove era stato accompagnato un amico di Alfredo, non molto lontano dalla villetta di via Sant’Antonio – e continuata nel cortile dell’abitazione. «Mio figlio mi ha colpito coi pugni e un bastone» ha detto il 72enne. Quello sequestrato dai carabinieri del Nucleo Investigativo è un pezzo di legno da 90 centimetri con un diametro di 3: sarebbe stato raccolto dal 26enne dal mucchio dove Loris aveva accatastato rami e porzioni di tronco. Il colpo di pistola calibro 9 (che il pensionato si era procurato illegalmente «per paura dei ladri») è stato esploso quando il 26enne «mi stava venendo incontro. Ho fatto fuoco per difendermi».
Il proiettile sarebbe partito quando padre e figlio erano lontani circa un metro l’uno dall’altro, ma sarà la perizia balistica chiesta dalla procura a rendere noti traiettoria e distanze.

Per le botte ricevute il pensionato «è dolorante al capo, ha una mano gonfia e dice di vedere male dall’occhio destro» affermava ieri l’avvocato Regni che, in udienza, ha chiesto una perizia psichiatrica «per valutare la capacità di intendere e di volere al momento del fatto. Ho la sensazione che il mio assistito non abbia compreso fino in fondo quando accaduto. È come se avesse raccontato i fatti che lo vedono coinvolto in terza persona». 

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