SENIGALLIA - «Non volevo uccidere Alfredo, solo spaventarlo, fargli capire che ero armato. Quel giorno era arrabbiato con me, ho avuto paura di essere sopraffatto». Così Loris Pasquini ieri mattina nel corso del processo che lo vede imputato in Corte d’Assise per l’omicidio volontario del figlio 26enne, morto per un colpo di pistola che lo aveva ferito alla base del collo. Il delitto, a Roncitelli di Senigallia, nel pomeriggio del 29 marzo scorso, all’apice di un litigio avvenuto in casa. L’imputato, 73 anni e attualmente relegato ai domiciliari, ha prima risposto alle domande del pm Paolo Gubinelli.
La difesa
«È stato lei ad uccidere Alfredo?» la domanda del magistrato. «Purtroppo sì – ha risposto Pasquini -.
L’episodio
Il 26enne era conosciuto al Centro di Salute Mentale per i suoi disturbi psichici e percettore di una pensione di invalidità. «Quando è esploso il colpo di pistola – ha detto il 73enne - c’era un paio di metri di distanza tra me e Alfredo. Lui non sapeva che io detenessi un’arma. Non ho mirato, ho sparato solo per fare il “botto”: lo volevo spaventare perché non ero in grado di affrontarlo fisicamente». Alla domanda del perché la pistola fosse l’unica opzione valida per fermare il 26enne, Pasquini ha risposto: «Quello è stato l’unico momento della mia vita in cui non sono stato in me, il mio cervello si è rifiutato di ragionare». L’imputato, dopo il ferimento del figlio, non si sarebbe neanche «accorto delle tracce di sangue. Ho saputo che Alfredo era morto alle undici e mezzo di sera» mentre era ascoltato dai carabinieri.
La pistola, «comprata per difesa personale» era detenuta illegalmente. Sul rapporto con Alfredo: «Lui mi dava sempre contro, diceva che io ero il suo nemico. In casa c’era il terrore». L’imputato, difeso dagli avvocati Silvia Paoletti e Roberto Regni, in passato aveva denunciato il figlio per maltrattamenti in famiglia, inviando anche un esposto a forze dell’ordine e sindaco di Senigallia affinché venissero a conoscenza della situazione.