Mauro Uliassi ricorda l’amico clochard morto a 63 anni: «Yao era il mio fratello africano»

Mauro Uliassi ricorda l’amico clochard: «Yao era il mio fratello africano»
Mauro Uliassi ricorda l’amico clochard: «Yao era il mio fratello africano»
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Sabato 11 Gennaio 2020, 07:15

SENIGALLIA -  Sognava di aprire una scuola alberghiera in Costa d’Avorio Yao Kuame con il suo amico Mauro Uliassi. Il 63enne, morto martedì, era arrivato in Italia tanti anni fa, aveva studiato al Panzini e lavorato con lo chef pluristellato. Da diverso tempo di lui si erano perse le tracce finchè un giorno è ricomparso, spingendo un carrello e vagabondando in città. Molti ignoravano che fosse proprio lui. L’hanno scoperto solo dopo la sua morte. Quel giovane pieno di sogni era diventato il clochard con il carrello, che girava raccattando ciò che trovava, compresa una maglia del Milan che indossava fiero. Divorato da una malattia che l’aveva portato ad isolarsi, reagendo in maniera aggressiva a chi voleva aiutarlo. Dal Comune aveva ottenuto di recente un alloggio in via Kant.

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«E’ arrivato a Senigallia verso la fine degli anni ’70 – ricorda Uliassi - e dopo il diploma dell’alberghiero si era laureato in Scienze Turistiche a Rimini. Yao parlava italiano, francese, tedesco e inglese. Siccome un po’ di francese lo parlavo anche io, un giorno a scuola gli ho dato da dire. Così Yao mi ha invitato a casa sua, è diventato il mio fratello africano. Da quel momento la mia casa è stata la sua. Faceva il cameriere o il barman nelle discoteche e aveva sempre una folta schiera di donne che lo corteggiavano. Quando parlava di sé dava sempre informazioni piuttosto imprecise. Non si sapeva bene quanti anni avesse, quante mogli e figli in Africa. Nel 1981 dovevamo andare in Costa d’Avorio e aprire una scuola alberghiera».


Si informarono all’ambasciata di Roma poi non se ne fece più nulla. «Quando ho aperto il ristorante Yao era con me – prosegue Uliassi - era addetto agli antipasti. Abbiamo lavorato assieme per un paio di anni poi lui ricominciò a viaggiare». A volte tornava. «Non diceva nulla della sua malattia – conclude lo chef - era difficile fare qualcosa per lui e ha cominciato a vivere perso nel suo mondo. Ora si è liberato da una vita ormai piena di sofferenze. Sono molto triste». Per rimpatriare la salma di Yao è in corso una racconta fondi, aperta a tutti, attivata dal centro islamico.

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