SENIGALLIA - «Ero arrivato al culmine della disperazione, dopo 7 anni di aggressioni e minacce. Mi ha colpito con un bastone e se non gli avessi sparato, sarei morto. Ma ho puntato alle gambe, non volevo ucciderlo». E invece il proiettile, esploso da un metro di distanza con una pistola detenuta illegalmente, l’ha raggiunto al collo, recidendogli la giugulare. Alfredo, 26 anni, è morto poco dopo, dissanguato. Con le ultime forze rimaste, si è chiuso a chiave in camera e ha chiamato il 118. «Aiuto, correte, mio padre mi ha sparato». All’arrivo dei soccorritori ormai era morto.
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«Sì, l’ho ucciso io», ha confessato il padre, Loris Pasquini, ex ferroviere di 72 anni, ai carabinieri che l’hanno interrogato lunedì sera nella caserma di Senigallia. Due ore in cui ha ricostruito, con estrema precisione, i dettagli della tragedia. «Era un fiume in piena», dice l’avvocato Roberto Regni. Il killer di Roncitelli, pur confuso e sotto choc, è parso sempre lucido nel racconto, a tratti logorroico. Uno sfogo, il suo, non solo una confessione. Ha spiegato perché è arrivato a premere il grilletto della Beretta calibro 9 abusiva («Me la sono procurata clandestinamente anni fa perché viviamo in campagna e ho paura dei ladri», ha riferito) contro il figlio. Ma nulla ha chiesto sulle condizioni di Alfredo - sembra che fino a sera non avesse realizzato che era morto - né ha versato una lacrima per lui. Ha pensato, piuttosto, a giustificare il suo gesto, «frutto di 7 anni di soprusi e litigi - ha riferito -. Lo so, non dovevo farmi giustizia da solo: ma ero disperato e ho perso il controllo».
Nell’interrogatorio-fiume, Pasquini ha raccontato di aver sparato per difendersi. Attorno alle 17 aveva accettato di accompagnare alla fermata dell’autobus Alfredo e un suo amico che doveva prendere il pullman per tornare a casa. Durante il tragitto di rientro, il 72enne sarebbe stato minacciato dal figlio, a suo dire senza motivo. «Te la farò pagare», gli avrebbe urlato, tentando di aggredirlo mentre era alla guida. Una volta rientrati a casa, il 26enne avrebbe continuato a sfogare la sua rabbia prendendo a calci l’auto del padre, come confermato da una testimone oculare. «Non volevo reagire perché Alfredo è un colosso, ha una forza mostruosa: ho sempre avuto paura di lui e della sua aggressività», ha spiegato il killer agli investigatori. Tant’è che, ha aggiunto, lui e la terza moglie, d’origine thailandese, di notte avevano l’abitudine di chiudersi a chiave in camera.
La donna, che per ora non è indagata ed è stata ascoltata come testimone, avrebbe assistito alla prima parte della lite e avrebbe tentato di difendere il marito quando Alfredo, nel cortile di casa, avrebbe colpito più volte con un bastone il padre che, per proteggersi, si sarebbe ferito al polso e alla mano sinistra. A quel punto Loris è entrato in casa e ha estratto la sua pistola da un mobile. Poi è uscito, l’ha puntata contro il figlio e ha premuto il grilletto. «Volevo solo spaventarlo, ho sparato perché altrimenti mi avrebbe ucciso con il bastone», ha ripetuto più volte. Voleva mirare alle gambe, ha detto. Eppure il colpo ha raggiunto alla giugulare Alfredo, l’unico a chiamare i soccorsi, prima di morire dissanguato per mano del padre.
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