ANCONA - I tatuaggi, le belle donne, i party con gli amici sulle spiagge e nei locali di tendenza, i book da indossatore per marchi di abbigliamento. E quel fisico da culturista plasmato dal pallone e dalla palestra che sfoggia ogni due per tre sui social. Una vita all’insegna dell’ostentazione.
Giovanni Padovani, il 26enne senigalliese killer di Alessandra Matteuzzi, si pone sul web come un maniaco del fitness e dell’apparenza: cura la sua immagine nei minimi particolari, da vero instagrammer, e si mostra ai followers con i muscoli scolpiti e in pose ammiccanti.
Il post
Da social-addicted qual è, Padovani ha affidato ad una storia su Facebook le sue ultime riflessioni, prima di tendere l’agguato mortale alla donna da cui non riusciva a separarsi. «La vita non si sa mai che sofferenza ti riserva - scriveva nei minuti immediatamente precedenti al delitto -. Capita di aver amato una persona con tutto te stesso, ma ahimé si trovano persone cattive, manipolatrici, bugiarde, attrici nate che ti tradiscono con più persone e professano amore prima di farti fuori dal proprio harem». E poi, un cupo presagio. «Mi sono tolto tante soddisfazioni nella mia carriera e ho dimostrato a tanta gente che valgo come giocatore e come uomo - aggiungeva -. Spero di aver lasciato a tutti un bel ricordo. Adesso mi scuso con tutti, ma credo sia giunto il momento di andarsene». Intenti suicidi? No. Pochi minuti dopo, ucciderà sua ex a martellate.
Nella storia di Padovani, difensore girovago cresciuto nelle giovanili dell’Ancona e del Napoli prima di emigrare in tutta Italia, da Bolzano alla Sicilia, cambiando più di 20 maglie, si legge quella della promessa che non riesce a sfondare. «Se ci credi, ti basta perché poi la strada la trovi da te», è la massima che accompagna le sue foto-profilo sui social. A settembre avrebbe cominciato una nuova avventura alla Sancataldese, club della provincia di Caltanissetta, in serie D. Un’umile occasione di rilancio per un giocatore penalizzato dal suo stesso ego e da un’eccessiva considerazione di sé. La stessa che l’ha portato a credere di poter avere tutto e a non accettare un “no”, in amore come su un campo da calcio.