Reny pittrice strangolata per motivi economici, c’è la sentenza bis. Figlio e marito colpevoli

Simone Santoleri con il padre Giuseppe
Simone Santoleri con il padre Giuseppe
di Federica Serfilippi
2 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Dicembre 2021, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 15:36

ANCONA - Confermata la condanna a 27 anni di reclusione per Simone Santoleri, sconto di pena per il padre Giuseppe: da 24 a 18 anni. È finito così il processo in Corte d’Assise d’Appello, al tribunale de L’Aquila, incardinato per fare luce sulla morte della pittrice Renata Rapposelli, la 63enne trovata senza vita nel novembre del 2017 in una scarpata a ridosso del Chienti, a Tolentino. La donna viveva ad Ancona, in via della Pescheria. Anche il secondo grado di giudizio ha riconosciuto come responsabili della morte di Reny, così si faceva chiamare la pittrice, l’ex marito e il figlio maggiore.

 
Le accuse 
Dovevano rispondere in concorso in omicidio volontario e soppressione di cadavere. Le indagini erano partite da Ancona, quando alcuni amici della pittrice (aveva 63 anni) avevano sporto denuncia per la sua scomparsa, non riuscendo più a contattarla.

Aveva fatto sapere di essere partita il 9 ottobre del 2017 dalla stazione dorica per raggiungere Giulianova, dove vivevano ex marito e figlio. Proprio quel giorno, poco dopo il suo arrivo nell’abitazione dei Santoleri, Reny sarebbe stata uccisa per strangolamento e asfissia, come riportava il capo d’imputazione.

Sarebbe stata una litigata per motivi economici (la pittrice chiedeva circa 3mila euro di arretrati del mantenimento) a far esplodere il delitto. 


La salma 
Il suo corpo senza vita, per la procura trasportato in auto, era stato ritrovato un mese dopo l’uccisione nella zona della contrada Pianarucci.

La salma era quasi irriconoscibile. A marzo 2018, su ordine della procura dorica che inizialmente coordinava le indagini, c’era stato il duplice arresto dei Santoleri.

Il 47enne figlio di Renata, attualmente recluso nel carcere di Viterbo, è stato riconosciuto come «l’autore materiale principale dell’omicidio» era stato scritto nelle motivazioni del verdetto di primo grado. Il 71enne Giuseppe, invece, avrebbe assecondato sempre le scelte del figlio perché «remissivo e succube».

Stando ai giudici, l’ex marito della vittima (relegato nel carcere di Teramo) ha aderito in toto «alla condotta criminosa posta in essere dal coimputato», non opponendosi al delitto. Nel primo grado di giudizio a Simone, la Corte aveva riconosciuto 24 anni per l’omicidio e 3 per la soppressione; mentre al padre 21 per il delitto e 3 per l’altro reato.

Ieri, in appello lo sconto di pena con la concessione delle attenuanti prevalenti sulle aggravanti: 16 anni per l’omicidio e 2 per aver aiutato il figlio a nascondere il corpo di Renata. Tra 90 giorni le motivazioni del tribunale aquiliano. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA