Nepal, Pino Antonini a casa
"Non pensavo di sopravvivere"

Giuseppe Antonini
Giuseppe Antonini
di Pia Bacchielli
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Sabato 2 Maggio 2015, 21:23 - Ultimo aggiornamento: 5 Maggio, 20:32

ANCONA - "Non pensavo di farcela, sono stato fortunato. Si vede che ho ancora delle cose da fare".

Giuseppe "Pino" Antonini, 53 anni, direttore della Scuola forre e canyon del Corpo nazionale del Soccorso alpino, è finalmente a casa. E' scampato al terremoto in Nepal, ha cercato di salvare i due amici che erano con lui ma non ce l'ha fatta. Gigliola Mancinelli, 50 anni, medico rianimatore madre di due figli di 14 e 11 anni, è morta sul colpo sotto la valanga di ghiaccio, neve e detriti che si è abbattuta sul lodge dove alloggiavano. Oskar Piazza, 55 anni, trentino, è morto poche ore dopo. A Pino deve invece la vita Giovanni "Nanni" Pizzorni ligure di 52 anni. Erano insieme per esplorare nuovi canyon.

Il racconto di quei momenti terribili è da brividi. “Era la nostra terza spedizione nella zona, dovevano esplorare nuovi canyon - racconta Pino -.

Il 25 saremmo dovuti salire per ridiscendere una forra, ma c'era nebbia, e siamo rimasti nel lodge”. Lui e Gigliola erano al piano superiore a guardare un film al pc, gli altri due di sotto. La scossa, violentissima di 7.8 di magnitudo, è arrivata poco dopo le 18 facendo crollare i muri perimetrali. “Noi quattro ci siamo chiamati - seguita Pino -, eravamo tutti a posto”. Ma dieci secondi dopo dalla montagna si stacca un seracco di sassi e ghiaccio, milioni di metri cubo che piombano sul villaggio a 300-400 km all'ora. La massa abbatte i pilastri del lodge. E Pino si trova immerso fra neve, ghiaccio e macerie. “Ero rimasto fuori con la testa e un braccio: ho tentato di chiamare Gigliola ma non rispondeva”. Dopo 20 minuti di fatiche Pino si libera. “Gigliola era cinque o sei metri davanti a me, semisepolta. Ho provato ma non c'era più nulla da fare, era morta sul colpo”. Oskar e Giovanni invece erano già quasi fuori dai detriti. “Ero l'unico in piedi. Con coperte e stracci ho preparato un bivacco in una stalla. Con l'aiuto di un ragazzo francese che aveva appena perso la compagna e un portatore abbiamo portato lì i feriti e coperti con sacchi a pelo e teli di plastica. Ho chiesto ad un'anziana di tenere acceso un fuoco. Piazza è apparso subito molto grave, credo per una frattura della base cranica. Pizzorni aveva sospette fratture alla schiena o al bacino”. Il rischio era che cadesse un altro saracco: “non era prudente restare lì. I feriti non potevamo spostarli, ma ho cercato un altro ricovero per me, il francese e una bambina figlia del portatore”. “All'alba - prosegue Pino - mi sono precipitato alla stalla: Piazza era morto. Con una lettiga abbiamo alloggiato Pizzorni fra i ruderi di un ospedale. Con altri superstiti dell'alta valle abbiamo aspettato tutta la notte”. Il 27 aprile, di mattina, arriva un elicottero che porta via i feriti più gravi, “Pizzorni e anche me, che ero piuttosto malconcio”. “Nel pomeriggio ci hanno sbarcato nell'ospedale da campo crollato di Trisuli. Medici non ce n'erano, solo infermieri. Mi hanno suturato dei tagli profondi alla gamba fra il sangue degli altri”. “Non avevo più soldi, neppure le scarpe, ne ho trovate un paio fra le macerie”. Una famiglia olandese “ci ha aiutato a telefonare in Italia e si è offerta di portarci a Kathmandu con un fuoristrada. Qui un albergatore svizzero si è preso cura di noi e abbiamo potuto stabilire i contatti per rientrare in Italia”. “Con un pilota e degli alpinisti italiani volevo andare a recuperare i corpi di Gigliola e Oskar, ma il volo non è stato autorizzato, e sono stato imbarcato sull'aereo dell'Aeronautica che ci ha portato in Italia”.

Le spoglie di Gigliola potrebbero essere rimpatriate stasera. In un primo momento si era temuto che il corpo di Gigliola non si trovasse più, viste le condizioni delle strade e del Paese. Grazie all’ausilio di un elicottero, in raccordo con personale della Farnesina sul posto, il recupero è stato invece possibile. “Avevo dato indicazioni precise”, racconta Pino. La salma partirà con un volo speciale da Kathmandu questa notte. Domani mattina verrà trasportata all’ospedale di Torrette dove la dottoressa lavorava. Qui verrà allestita la camera ardente sempre che l’autorità giudiziaria non ritenga necessario eseguire l’autopsia. Gigliola lascia l’anziano padre Adelelmo, 87 anni, il nipote Alessandro figlio della sorella Flavia e due figli: Andrea di 14 anni ed Eva di 11. “A loro ho portato una catenina ciascuno, quelle che Gigliola aveva al collo. Non pensavo di sopravvivere - dice ancora Pino -, sono stato fortunato”.

In serata è tornato a casa anche l'avvocato anconetano Francesco Tardella e le senigalliesi Claudia Greganti e Tiziana Cimarelli, scampati a una frana che ha travolto la loro auto.

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