La scuola che cresce meglio i ragazzi?
Quella che non assegna compiti a casa

La scuola che cresce meglio i ragazzi? Quella che non assegna compiti a casa
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Giovedì 11 Gennaio 2018, 06:55
JESI - Una scuola senza compiti a casa è il sogno di ogni bambino. Chi di noi non ha mai favoleggiato sulla possibilità di andare fuori a giocare con gli amici invece di passare l’intero pomeriggio a casa stando chino sopra libri? Ebbene, da tempo c’è qualcuno che non soltanto dice che questo è possibile, ma che addirittura sarebbe il modo migliore per far crescere i ragazzi. Questo qualcuno è Maurizio Parodi, dirigente scolastico di un istituto comprensivo di Genova e fondatore del movimento “Basta compiti” che vanta circa 12 mila aderenti tra genitori ed educatori. 

Parodi nelle giornate del 19 e 20 gennaio sarà a Jesi per partecipare a un convegno dedicato al tema e lanciare la proposta di una rete nazionale di scuole a compiti zero. «Avere Parodi qui a Jesi è una grande opportunità – afferma Francesco Savore, dirigente dell’Istituto di Istruzione Superiore Pieralisi che ha organizzato l’evento -. Nella nostra regione sono infatti parecchi gli insegnanti che hanno dimostrato la volontà e la capacità di sperimentare un diverso metodo di fare lezione. Tuttavia permangono ancora molte resistenze. Il convegno permetterà di raccordare coloro che già adottano tale metodica e di spiegare agli altri perché vogliamo una scuola senza compiti».
Già, perché? Perché studiare di meno dovrebbe favorire l’apprendimento? Ebbene, Savore sottolinea come la gran parte delle ricerche riconosca che per imparare non è tanto importante la quantità di compiti a casa, quanto la qualità dell’insegnamento a scuola: «In Italia è ancora molto diffusa l’idea Ottocentesca secondo la quale il rendimento sia legato alla sofferenza. Invece è vero tutto il contrario. Un ragazzo che arriva a scuola dopo essersi riposato e aver avuto la possibilità di socializzare e sviluppare i suoi interessi sarà più attento e motivato». Ma per Savore la vera rivoluzione deve avvenire in classe.

«Abolire i compiti a casa non ha senso se non si cambia il metodo di insegnamento. Finora ha dominato il modello della lezione frontale, nel quale i docenti si limitano a trasmettere informazioni, mentre lo studio vero e proprio avviene a casa. Questo però crea disparità, perché non tutti gli alunni possono avere l’aiuto dei genitori o permettersi lezioni a pagamento. Il nostro modello prevede, non l’abolizione dei compiti, ma il loro svolgimento a scuola». In sostanza l’insegnante dovrebbe limitare le lezioni frontali a non più di una ventina di minuti, ovvero il tempo di attenzione medio di qualsiasi studente, per poi far diventare gli stessi ragazzi protagonisti, creando condizioni di lavoro individuale e collettivo e trasformandosi in un tutor che affianca gli studenti nella risoluzione dei problemi.
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