JESI Una Consulta comunale delle persone con disabilità, chiamata a «promuovere l’inclusione sociale e la collaborazione tra i soggetti pubblici e privati che si occupano di disabilità», formulando analisi, osservazioni, pareri, proposte. Nella sua Assemblea «le associazioni dei familiari e altri soggetti associativi che prestano assistenza o tutela, purché con associati residenti a Jesi, e organizzazioni sindacali; le persone con disabilità permanente residenti o che svolgono a Jesi attività a carattere continuativo, eventualmente rappresentate da familiari».
La soddisfazione
Ne ha varato l’istituzione il Consiglio. La sezione jesina di Anfass, associazione delle famiglie di persone con disabilità, saluta con «viva soddisfazione un ulteriore momento di inclusione sociale per chi ne ha particolarmente bisogno». L’associazione presieduta da Antonio Massacci ricorda però la necessità «in tempi brevi di mettere in campo e far germinare una diffusa sensibilità nei confronti di persone in condizioni di fragilità. Tra i primissimi impegni, crediamo la Consulta possa affrontare il Piano per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche la creazione di un vocabolario condiviso delle parole che attengono alla disabilità in tutte le sue forme. Auguri di buon lavoro a quanti – noi tra i primi – vorranno aderire».
Le critiche
Critica le modalità Jesiamo dall’opposizione: «Nella consiliatura precedente, maggioranza e minoranza avevano lavorato insieme per predisporre un regolamento. Stavolta questo respiro non c’è stato». È scontro anche sulla casa famiglia legata all’eredità di Daniela Cesarini attesa da 10 anni. Jesi in Comune “benedice” l’ipotesi di trasferirne la sede al San Martino: «Darebbe piena attuazione alle volontà di Daniela, a differenza della scelta della precedente amministrazione di realizzarla all’ex Giuseppine, dove gli ospiti in carrozzina non potrebbero muoversi liberamente e neanche affacciarsi». Ma per Jesiamo: «Perché lasciare un progetto è a pochi metri dal traguardo per un altro lontano? C’è il dubbio che il rimandare sia più dovuto a una pressione politica atta a dimostrare l’avevamo ragione che a una reale necessità».
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