Il Tribunale restituisce i prodotti
Cannabis light, sorridono gli shop

Il Tribunale restituisce i prodotti Cannabis light, sorridono gli shop
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Domenica 21 Luglio 2019, 07:15
ANCONA  - Cannabis light, si gioca una partita colpo su colpo. Dopo una serie di sequestri, dissequestri, corsi, controricorsi e la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla liceità della commercializzazione dei derivati della cannabis sativa, ecco il primo verdetto emesso da un tribunale marchigiano che segna una linea precisa tra ciò che si può vendere e ciò che non lo è. Nei giorni scorsi, il Tribunale del Riesame di Ancona ha disposto la restituzione ai fini del commercio della quasi totalità dei prodotti che nel giugno 2018 erano stati prelevati dal negozio Mari-ka Emp di corso Garibaldi nell’ambito di un’inchiesta portata avanti dal pm Irene Bilotta e dalla questura dorica.

 

La decisione dei giudici è stata presa sulla base di una consulenza scientifica chiesta dal legale Carlo Alberto Zaina, difensore del titolare del negozio di corso Garibaldi, ed effettuata dal tossicologo forense Rino Froldi. La relazione ha stabilito come l’effetto drogante non possa svilupparsi nel consumo di prodotti che hanno un livello di thc (il principio attivo Tetraidrocannabinolo, ndr) inferiore allo 0,5%. Proprio sulla base di questo dato, deve essere restituita al negozio Mari-ka Emp quasi la totalità dei campioni che erano stati prelevati dalla polizia più di un anno fa. All’epoca, la normativa non era ancora chiara. Tanto che, il pm Bilotta aveva disposto il sequestro della merce (assieme al negozio di corso Garibaldi erano stati colpiti altri cannabis shop della provincia con altrettanti prodotti messi sotto chiave) che però non era stato convalidato dal gip. In attesa di direttive, e del pronunciamento della Cassazione, la questione della commercializzazione dei derivati della cannabis era rimasta in standby. Dopo un anno, la situazione si è sbloccata: per il Riesame di Ancona vendere prodotti che hanno un thc inferiore allo 0,5% non costituisce reato. I giudici della Cassazione avevano scritto nella sentenza che «occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta, rispetto alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetti di cessione», senza dare una soglia precisa per riconoscere quale sostanza può propagare un effetto drogante nel consumatore. 
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