L'ex direttore Asl in terapia intensiva: «Dodici giorni nell'inferno Covid, angeli vestiti come palombari»

Jesi, l'ex direttore Asl in terapia intensiva: «Dodici giorni nell'inferno Covid, angeli vestiti come palombari»
Jesi, l'ex direttore Asl in terapia intensiva: «Dodici giorni nell'inferno Covid, angeli vestiti come palombari»
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Lunedì 26 Aprile 2021, 13:37

JESI - «Dodici giorni in terapia intensiva per il Covid. In tutte quelle ore, quei giorni, ho pensato di aver fatto bene per 55 anni di lavoro a pagare sempre le tasse che sono servite a preparare professionisti come chi mi ha seguito». È la testimonianza di Maurizio De Magistris, direttore fra anni ’90 e 2000 della Asl di zona e molto noto in città per l’attività di imprenditore e nel mondo dello sport. 

La riconoscenza 

Non è la prima volta che De Magistris tesse le lodi della sanità pubblica. «Avevo già espresso- ricorda- il mio giudizio assai positivo per le cure che ricevevo e ricevo dall’ambulatorio ferite difficili di Jesi. Ora ho scoperto di doverlo confermare con forza: dopo un paio di interventi mi sono beccato un bel Covid e ho vissuto nel nostro ospedale una dozzina di giorni in terapia intensiva. Con la testa in uno scafandro rumorosissimo, tubi e fili ovunque. Sono stato fortunato: non ho incontrato angeli, santi e neanche eroi - con buona pace di Brecht, “beato quel popolo che non ha bisogno di eroi” – ho invece incontrato un gruppo formidabile di professionisti». Ricorda l’imprenditore: «Vestiti da palombari, 8 ore senza poter fare pausa perché non ci si può togliere l’abbigliamento protettivo senza rifare tutta la sanificazione e la sostituzione con uno nuovo non contaminato». 
Continua il racconto: «Medici che intorno a un carrello analizzano decine e decine di dati sui tuoi organi per decidere, caso per caso, la strategia migliore.

Infermieri e OSS che entrano con gli occhi sui monitor e prima di uscire si preoccupano che abbia sempre a portata di mano la chiamata d’emergenza. Alla tv è un conto, altro sono 24 ore, non c’è giorno e notte, dentro un casco con un rumore assordante senza poter fare altro che dipendere da chi ti assiste». Una riconoscenza che De Magistris indirizza: «Al dottor Spinaci che dirige le unità Covid dove sono stato curato – le altre due sono dirette dal dottor Candela- alle dottoresse Castriotta e Resedi e ai dottori Braconi e Micucci, sempre attenti e disponibili a dare notizie ai familiari anche rispondendo da casa e dal personale. Uno stuolo di infermieri giovani laureati nelle nostre università, spesso con master, specializzazioni o che stanno proseguendo per la magistrale. Non ricordo i nomi: venivano da Salerno, Vasto, Angeli di Rosora. E poi le OSS, col nome a pennarello sulla tuta o sullo schermo protettivo, per creare un contatto con chi vive in isolamento e viene girato come una frittata ogni tante ore per impedire che i liquidi riempiano i polmoni». Prosegue De Magistris: «Ricordo l’interessamento del dottor Bernacconi e dei collaboratori. A tutti un grazie in caratteri cubitali all’ingresso dell’ospedale e un abbraccio fraterno al dottor Falsetti, che ha rimesso le mani in una complicazione dopo un precedente intervento, e all’amico Giacomo Zenobi, che mi aiuta da anni a combattere i miei dolori ed è sempre stato in contatto con me, quando possibile, coi suoi ex colleghi e la mia famiglia». 

Le spine 

Riconosce De Magistris: «Tutto rose e fiori? No! Sono stato ricoverato, prima del covid, in un reparto “misto” e debbo dire che ho assistito a comportamenti assai discutibili da parte del personale sanitario ma oggi credo di dover festeggiare e sottolineare come nella nostra sanità pubblica la parte tecnico operativa, medici e infermieri, siano ben preparati e raggiungano frequentemente risultati di grande qualità. Però sono nella notissima, per efficacia, efficienza e trasparenza, pubblica amministrazione italiana. Se non riusciranno a riformarla draghi e figliuoli, sarà il caso di rivolgersi a angeli e santi». 

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