Saracinesche giù negli shopping center. I negozianti dei centri commerciali: «Noi, soli e discriminati»

La protesta degli operatori dei centri commerciali
La protesta degli operatori dei centri commerciali
di Stefano Rispoli
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Mercoledì 12 Maggio 2021, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 00:27

ANCONA - Ore 11: le saracinesche si abbassano per un quarto d’ora, una voce elettronica diffonde la disperazione dei dannati degli shopping center, costretti a restare chiusi a oltranza nei weekend. I clienti vengono invitati a uscire, chi con un gelato in mano, chi con i capelli bagnati, chi con la merce appena acquistata.

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«Perdonateci, ma per noi questa protesta è importante», si scusano i titolari dei negozi del centro commerciale Conero, che all’unisono danno voce alla loro angoscia. «Sa qual è la cosa peggiore? Quando si parla di centri commerciali, la gente immagina grandi catene e potenze economiche, ma non sa che in realtà dietro ci sono nella maggior parte piccole società e partite Iva - dice Sonia Gerundini di Sonia Gioielli -.

Per non parlare dei fornitori e dei dipendenti: qui tutti soffriamo. Il lockdown del fine settimana per noi significa una perdita del 40% del fatturato. Da 6 mesi andiamo avanti così: siamo rimasti nell’ombra, nessuno parla di noi. Con questo piccolo sciopero chiediamo di puntare i riflettori su di noi».

Sì perché tutti, chi più, chi meno, stanno riaprendo dopo l’attenuazione dei contagi. Ma gli shopping center ancora no. Perché? «Non esiste alcun motivo plausibile - protesta Anja Bregallini, titolare dei negozi Tezenis, Calzedonia e Intimissimi -. Siamo rimasti solo noi, esclusi e dimenticati. Temono gli assembramenti nelle gallerie commerciali, ma allora nei megastore o nei supermercati non c’è lo stesso pericolo? Abbiamo tutto per lavorare in sicurezza: guardie giurate che controllano le distanze, sanificazioni, spazi arieggiati». 


La manifestazione 
Antonella Basile, responsabile del salone Jadis, alle 11 in punto ha abbassato la serranda, a costo di chiedere ad una cliente di attendere all’esterno un quarto d’ora con i capelli bagnati. «Ha compreso la nostra posizione, chi comanda invece non ha ancora compreso quanto incide sulle nostre attività la chiusura nei fine settimana - dice la parrucchiera -. Quasi metà del nostro fatturato si concentrava nella giornata del sabato. Questa protesta serve a far capire che a livello di sicurezza un salone non ha nulla da invidiare a un ospedale, anzi». Discriminati e abbandonati: così si sentono gli operatori dei centri commerciali. Tania Balzani della gelateria Dolce Capriccio trattiene a stento la rabbia. «Viviamo da mesi un’ingiustizia - dice -. Ci hanno lasciati in disparte, causandoci danni economici incalcolabili. Black Friday, Natale, saldi, Pasqua: ogni festa per noi è stata una morte. I negozi del centro sono stati aiutati, noi zero: io questa la chiamo discriminazione». Per chi gestisce un bar all’interno di un centro commerciale, la beffa è doppia. «Non solo siamo fermi il sabato e la domenica, ma non possiamo nemmeno servire un caffè al chiuso: siamo ancora appesi all’asporto e quando facciamo 300 euro di incassi al giorno è un miracolo» allarga le braccia Toni Bravi del Conero Bar. «Che senso ha tenerci chiusi? - incalza Fabio Apostolico di Kasanova -. È una leggenda metropolitana la folla nei centri commerciali nel weekend. Speriamo almeno che non facciano la genialata di revocare il divieto a luglio in concomitanza con i saldi estivi».

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