L'infermiere no vax non molla: «Non voglio fare da cavia, poi tanto non mi licenziano»

L'infermiere no vax non molla: «Non voglio fare da cavia, poi tanto non mi licenziano»
L'infermiere no vax non molla: «Non voglio fare da cavia, poi tanto non mi licenziano»
di Maria Cristina Benedetti
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Lunedì 9 Agosto 2021, 09:45 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 06:34

ANCONA - Granitico, Enzo Palladino. «Non voglio che il mio corpo diventi oggetto di sperimentazione». Non retrocede d’un passo sul vaccino anti-Covid l’infermiere di Endoscopia Digestiva di Torrette, che è pure presidente nazionale e regionale del sindacato autonomo Laisa. «Niente, non accetto il ricatto». 

In una lettera che, mesi fa, inviò al presidente Mattarella, al ministro della Salute Speranza e ai vertici di Regione, Asur e ospedale regionale scrisse: “Qualora dovesse divenire obbligatorio, valuterò la possibilità di cambiare Paese”. Pronto a partire? 
«Tutt’altro, perché non c’è nessun imperativo».

La legge 76, dello scorso maggio, lo impone a tutti gli operatori sanitari, pena la ricollocazione, con eventuale demansionamento, fino alla misura estrema della sospensione.
«Ecco, l’ha detto lei: demansionamento o sospensione.

Non certo il licenziamento. Il che significa che quella norma prevede un’imposizione molto blanda, leggera. Chi rifiuta la dose dev’essere ricollocato, fino al prossimo 31 dicembre oppure alla fine della campagna vaccinale».

Non molla proprio. 
«Nello scegliere questa professione non ho messo a disposizione la mia vita per la sperimentazione. Perché la profilassi è questo: una sperimentazione di massa. La documentazione dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, l’ha autorizzata nell’ottica dell’emergenza, per superare un momento tragico e, soprattutto, perché non c’erano terapie per fronteggiare il Coronavirus».

Ora è diverso? 
«Giuseppe De Donno ha più valore da morto. Il medico che s’è suicidato è stato vittima delle polemiche legate alle sue cure con il plasma iperimmune: lui ha salvato la vita a 58 moribondi. A ottobre usciranno cinque terapie che si rifanno quel tipo di trattamento». 

Nell’attesa, il vaccino è l’unica difesa.
«Cambierebbe opinione se si raccontassero le verità, sconcertanti, che arrivano da Israele e, per non andare troppo lontano, da Torrette».

Le dica lei, prego.
«Nel nostro ospedale regionale, in questi giorni, sono stati ricoverati pazienti che sarebbero dovuti essere coperti dalla doppia somministrazione che avevano ricevuto. Con la variante Delta la carica virale dei non vaccinati è pari a quella dei vaccinati». 

Quando le arriverà la segnalazione che farà?
«Premetto: sono io a voler restare a casa. Ho chiesto, per la terza volta, l’aspettativa fino al 31 gennaio, un mese in più rispetto al limite imposto dalla legge 76. La prima volta non mi hanno risposto, la seconda me l’hanno negata. Ora vedremo. Oggi non ho ancora aperto la Pec e fino a martedì sono in ferie». 

La sua amarezza? 
«Quando eravamo considerati gli angeli delle corsie, io ero lì con la paura di essere contagiato. Nulla mi avrebbe mai allontanato dal mio dovere. Ora sono un untore, da mettere alla porta».

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