Senigallia allarga i reparti: nelle corsie 110 contagiati

Il primario del pronto soccorso di Senigallia Gianfranco Maracchini con il suo team
Il primario del pronto soccorso di Senigallia Gianfranco Maracchini con il suo team
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Martedì 31 Marzo 2020, 07:41

SENIGALLIA - L’ospedale Covid+ di Senigallia diventa più grande ed è pronto ad ospitare fino a 110 contagiati. Due posti in più per i pazienti intubati sono stati ricavati nel blocco operatorio, arrivato quindi ad un totale di quattro che si aggiungono ai cinque della Rianimazione. All’Obi del pronto soccorso sono aumentati gradualmente fino a 39. Mentre si festeggia il primo giovane guarito dal Coronavirus c’è ansia per il ricovero di un operatore sanitario, risultato positivo. È il primario del pronto soccorso Gianfranco Maracchini a fare da guida nell’ospedale Covid+.

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Il viaggio non può che iniziare dal suo reparto, primo porto di approdo per quanti si trovano ad affrontare gli effetti più gravi del virus. «Come prima cosa vorrei ringraziare tutto il personale - dice Maracchini - anche delle altre unità operative inviato a supporto». Tutto inizia dal reparto di emergenza dove i pazienti sospetti vengono portati dalle ambulanze, in attesa di un verdetto. «L’emergenza per noi è cominciata la notte tra il 7 e 8 marzo, quando la direzione sanitaria dell’Asur ci ha comunicato che sarebbero stati trasferiti da Pesaro alcuni pazienti sospetti. Dagli iniziali pochi posti letto, riservati ai pazienti Covid, siamo arrivati agli attuali 110, di cui 9 di terapia intensiva e 39 in osservazione al pronto soccorso». Per i pochi pazienti non Covid è stato inoltre creato un percorso protetto a loro dedicato. Dal 7 marzo a ieri sono stati visitati 707 pazienti.

 

«Se li confrontiamo con lo stesso periodo dello scorso anno, in cui erano stati 1998, sembrerebbe che il reparto abbia lavorato poco. In realtà non è così. La gravita è stata ben diversa rispetto ai soliti pazienti a cui siamo abituati. Abbiamo avuto 38 codici rossi, anche 7 contemporaneamente, il 5.37% del totale». Normalmente i codici rossi si aggirano intorno allo 0.5-1%. Ben 310 codici gialli, il 46.8% a fonte dell’abituale 30-35%. Ci sono stati anche 18 codici bianchi, arrivati con il mal di denti, problemi ginecologici, punture di insetto e dolori articolari. I codici rossi sono stati assegnati a pazienti Covid positivi tranne due casi: un aneurisma ed un infarto, rapidamente trasferiti a Torrette. Dei 707 pazienti ne sono stati ricoverati 278, circa il 40% a fronte del solito 12-15%. «In un paio di giornate abbiamo rischiato la chiusura del pronto soccorso per il numero elevato di pazienti arrivato, utilizzando tutte barelle disponibili, tutti i punti di erogazione di ossigeno comprese le bombole portatili. Scongiurata grazie all’impegno di tutto il personale e all’aiuto degli altri ospedali che hanno accolto alcuni pazienti».

C’è poi un altro fattore molto importante. «L’aspetto umano ha il suo peso in questa tragedia. Non è possibile essere del tutto distaccati. Siamo abituati a curare i nostri malati con i farmaci e i mezzi che la scienza ci mette a disposizione, a vedere i risultati del nostro lavoro. Ora ci rendiamo conto di essere impotenti e di avere poche armi. I pazienti ti guardano, ti chiedono aiuto, sentono di non riuscire a respirare, sono angosciati, preoccupati». I sanitari cercano di dare conforto. «Lavorare con i dispositivi di protezione individuale è molto stancante fisicamente, la mascherina a lungo andare fa male sul naso, gli occhiali stringono e si appannano in continuazione, non si può andare in bagno, non si può bere né mangiare. Bisogna fare attenzione ai gesti, un minimo errore può essere fonte di contagio. Credo che molti di noi avranno bisogno in futuro di un supporto psicologico per elaborare questa tragedia». I pazienti possono contare su di loro. «Purtroppo sono da soli. Tutti i giorni ho un contatto telefonico con i familiari per informarli sulle condizioni cliniche. A volte si presentano per portare indumenti o altro, ma non possono essere ammessi nelle stanze di degenza. L’unico tramite siamo noi. Se il paziente è giovane di solito ha il suo cellulare. Se sono anziani e quindi poco avvezzi alla tecnologia, facciamo fare videochiamate. Purtroppo muoiono anche da soli».

Maracchini ammette che: «un po’ di paura di ammalarmi ce l’ho e penso che ce l’abbiamo tutti.

Ci chiamano eroi ma siamo solo uomini e donne come tutti gli altri. Cerchiamo di fare al meglio il lavoro che ci siamo scelti: aiutare gli altri. A casa si deve osservare l’isolamento per evitare di contagiare i familiari. Mi pesa ma si va avanti lo stesso. Alcuni di noi si sono già ammalati. Un pensiero ed una preghiera – conclude - sono per un nostro collaboratore che in questo momento non sta molto bene». È di ieri però una buona notizia: il primo giovane paziente Covid guarito. «Sono giornate molto complicate di grande impegno da parte di tutti - afferma Fabrizio Volpini, presidente della commissione regionale sanità - questa notizia è un’iniezione di fiducia per tutti quelli che lavorano e anche per la comunità».

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