L'operatore del Pronto soccorso è stato estubato: «Mi credevo sul Monte Bianco. Vedevo colori, poi il risveglio»

Stefano Patonico operatore del Pronto soccorso di Senigallia
Stefano Patonico operatore del Pronto soccorso di Senigallia
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Mercoledì 15 Aprile 2020, 07:12 - Ultimo aggiornamento: 09:30

SENIGALLIA  - «Non riesco più a respirare, intubatemi». Sono state le ultime parole di Stefano Patonico che, dopo due settimane sospeso tra la vita e la morte, si è svegliato. Il 57enne senigalliese è un operatore socio sanitario del Pronto soccorso, dove ha accolto i primi pazienti positivi al Covid. Non si è posto problemi per la sua di salute, ha aiutato gli altri come ha sempre fatto. Poi è crollato proprio lì nel suo Pronto soccorso. Per due settimane un tubo ha portato ossigeno nei suoi polmoni. Nell’ultimo periodo, dopo il trasferimento a Torrette, dei macchinari lo tenevano in vita.

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«Di questa esperienza mi vengono in mente dei colori – racconta - mi è sembrato di essere sul Monte Bianco, c’era qualcun altro con me. Poi tanti colori accecanti. È tutto confuso, quando mi sono svegliato ricordo che ero agitato, molto, non sapevo se la mia famiglia stesse bene e non mi era ancora chiaro cosa mi fosse successo». «State attenti» sono state le sue prime parole rivolte ai familiari. Lui improvvisamente era sprofondato in un abisso, dove il covid lo aveva trascinato, e non voleva che loro dovessero affrontare e sopportare quell’inferno. «Ho iniziato a lavorare in ospedale 29 anni fa come ausiliario – ricorda –, poi sono rientrato nel primo corso istituito da operatore socio sanitario e da quel giorno in poi ho amato quello che facevo e ho sempre dato tutto me stesso. La nostra figura viene poche volte citata ed è un peccato perché quello che facciamo è molto importante e non da sottovalutare». 

È un guerriero rimasto ferito sul campo di battaglia. Il primo nell’ospedale cittadino. Il più grave che avrebbe potuto non farcela. Un paziente positivo gli ha tossito addosso mentre dal pronto soccorso lo stava trasferendo in reparto. Pensa di aver contratto in quella circostanza il coronavirus. Pur indossando i dispositivi c’erano ancora delle parti scoperte, come il collo. Le protezioni integrali sono arrivate dopo. «Mi sono ammalato mentre svolgevo il lavoro che amo e mi ritengo molto fortunato di essere di nuovo qui e poterlo raccontare. Grazie ai fantastici medici, infermieri, oss, anestesisti, ausiliari, radiologi, tutto il personale sanitario di Senigallia e Torrette che svolge un lavoro incredibile: hanno grande professionalità ed un gran cuore. Mi piace anche pensare che i miei genitori e mio fratello, che mi guardano da lassù, abbiano fatto in modo che ritornassi alla mia vita». 

La forza l’ha trovata nella famiglia, nella moglie Daniela e nei figli Marco e Francesca. La sua squadra. «Non hanno mai smesso di credere che ce l’avrei fatta, si sono fatti forza aspettando che tornassi. Mi hanno riferito che molte persone hanno pregato per me, la vicinanza dei miei colleghi mi ha emozionato, tutti i messaggi di forza e coraggio che ho ricevuto mi hanno riempito il cuore di gioia». E’ tornato a vivere con una nuova consapevolezza. «Ho sempre amato la vita ma adesso ho capito che spesso sprechiamo tante energie per beni materiali e soldi, inutili se poi ti manca la salute. Inizierò a godermi di più la vita, gli affetti, una passeggiata con il cane, un caffè con la famiglia, cose semplici e preziose troppo spesso date per scontate». E’ ancora ricoverato a Torrette, nel reparto di pneumologia covid. Sta meglio ma il percorso è lungo. «Il mio terribile incontro con il Covid-19 è iniziato a metà marzo e non vedo l’ora di sconfiggerlo.

Ci vorrà una riabilitazione, molto tempo ma sono fiducioso, sono in buone mani e non mi arrendo: voglio riprendermi la mia vita e vivere, finalmente, la mia rinascita». Riguardo al lavoro vorrebbe che chi ci governa si ricordi di loro sempre. «Gli operatori sanitari non vogliono né i 100 euro di premio, né essere chiamati eroi. Vogliono un contratto di lavoro che li premi per quello che affrontano da sempre, invece di tagliare sulla sanità e rendersi conto solo durante una pandemia del grande lavoro che svolgono».

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